08/06/2022, 11.57
IRAN
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Teheran, stretta anti-cristiana: pastore e sei fedeli condannati a 32 anni di carcere

Joseph Shahbazian dovrà scontare 10 anni e pene aggiuntive, come il divieto di viaggi all’estero. Sei anni a testa per due convertite, mentre altri quattro fedeli potranno evitare la cella pagando una cauzione. Durante l’udienza pressioni, minacce e umiliazioni dal giudice Afshari verso gli imputati. 

Teheran (AsiaNews) - Un tribunale iraniano ha condannato a 10 anni di prigione un pastore cristiano di origini armene, assieme a due donne convertite dall’islam che dovranno scontare sei anni di galera per il ruolo svolto all’interno di chiese domestiche. Secondo quanto riferisce il sito Article18, specializzato nel documentare le repressioni alla libertà religiosa in atto nella Repubblica islamica, la sentenza a carico di Joseph Shahbazian e delle due convertite (nella foto) è giunta ieri. Altri quattro cristiani sono stati condannati a pene variabili fra uno e quattro anni (con esecuzione sospesa dietro pagamento di una cauzione), per un totale complessivo di 32 anni di prigione. 

La sentenza più dura è stata comminata a carico di Shahbazian: l’armeno iraniano dovrà scontare due anni di esilio in una provincia remota nel sud-est del Paese in seguito all’incarcerazione, cui si sommano anche due anni di divieto di viaggi all’estero o di adesione a gruppi politici o movimenti con finalità sociale. Egli dovrà poi riferire per almeno due anni ai servizi di intelligence dopo il rilascio, durante non meglio specificate ”sessioni stagionali”. 

Gli altri quattro cristiani condannati, ma rilasciati dietro pagamento di una somma variabile fra 800 e 1.200 euro sono Salar Eshraghi Moghadam, Farhad Khazaee, Somayeh (Sonya) Sadegh e la madre Masoumeh Ghasemi. Diversa la sorte del pastore Jopseh, 58 anni, e di due convertite: Mina Khajavi, 59 anni e Malihe Nazari, di 48 anni, che dovranno andare in carcere in seguito alla sentenza comminata il 29 maggio scorso dal giudice Iman Afshari, capo della 26ma sezione penale del Tribunale della rivoluzione di Teheran. 

Nel leggere il verdetto il giudice Afshari, che si sta costruendo col passare dei mesi una fama di condanna cristiani, ha sottolineato che il pastore “ha dato vita a un gruppo per attirare i musulmani” e “sotto il manto di programmi religiosi” ha “propagato” il cristianesimo evangelico. A questo si aggiungono “attività illegali e affermazioni infondate” grazie alle quali ha “abusato delle debolezze interiori delle persone e ha attirato alcune di esse” facendole aderire “al suo gruppo”. 

Fonti locali riferiscono che, durante l’udienza durata oltre quattro ore, il giudice Afshari ha cercato di esercitare pressioni sulle imputate, perché accusassero il pastore Joseph di averle circuite e convertite, con la promessa di una sentenza più lieve. Davanti al loro rifiuto, il magistrato le ha minacciate dicendo che avrebbe aumentato le condanne, utilizzando inoltre un linguaggio “duro e sarcastico” contro i cristiani per “umiliarli e denigrare” la loro fede. Quando l’avvocato degli imputati si è opposto avanzando obiezione, egli ha risposto che stava “solo scherzando”. 

La condanna del gruppo di cristiani è solo l’ultima di una lunga serie: a maggio un tribunale aveva comminato 10 anni di galera a carico dell’armeno-iraniano Anooshavan Avedian, per “propaganda contro l’islam” in una escalation che esperti e attivisti definiscono “preoccupante” di violazioni alla libertà religiosa, che riguardano anche i Baha’i, i sufi, i sunniti e gli atei. Fonti locali riferiscono di palesi violazioni del diritto alla difesa, con insulti alle persone e alla fede professata durante i  processi, oltre a “confessioni” estrapolate a forza o con l’inganno durante la prigionia.

Negli ultimi anni sono migliaia i cristiani appartenenti a chiese domestiche arrestati dalle autorità, centinaia quelli condannati al carcere con l’accusa di “agire contro la sicurezza nazionale”. Eventi che smentiscono, nei fatti, i proclami di Teheran e delle rappresentanze diplomatiche iraniane nel mondo secondo le quali i cristiani “continuano a godere della libertà religiosa, di svolgere le loro attività di praticare il culto nelle loro chiese e di dedicarsi ai propri programmi”. 

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