Tokaev, Nazarbaev e la promessa (incompiuta) di archiviare il familismo
Il presidente del Kazakistan rivendica il "grande cambiamento" nella politica e nella società del Paese. E nonostante il clan dell'ex-presidente resti una sorta di potere ombra, il governo di Astana comunica continuamente il recupero di beni da loro portati all'estero. Ma secondo i sociologi Bejsembaev e Tlegenova non si è affatto realizzata una suddivisione dei poteri e a guidare il Paese è un'autocrazia di nuova generazione.
Astana (AsiaNews) - Il presidente del Kazakistan, Kasym-Žomart Tokaev, ha dichiarato a una conferenza degli insegnanti ad Astana che “nel Paese non esiste più il sistema dei clan familiari”, il limite endemico dei sistemi politici dell’Asia centrale, che i kazachi hanno ben conosciuto nel trentennio post-comunista con la saga della famiglia del primo presidente, Nursultan Nazarbaev. Ora secondo il suo successore “nel servizio allo Stato vige il principio della meritocrazia, e nelle nomine a qualunque carica si considerano anzitutto le competenze e la professionalità”.
Tokaev ribadisce più volte questo principio di “grande cambiamento” nella politica e nella società kazaca, anche per allontanare le critiche nei suoi confronti, essendo egli stesso il principale erede del “clan Nazarbaev”, da cui è stato insediato al potere presidenziale nel 2019, allo scopo di preservarne i privilegi. Tutto è cambiato dopo il Kantar, il “gennaio di sangue” del 2022, che avrebbe potuto ridurre il Kazakistan di nuovo allo stato di colonia della Russia. Per riguadagnare la fiducia dei cittadini dopo le violente proteste ad Almaty, Žanaozen e Aktau soffocate dalla violenza dei servizi speciali portando alla morte di 238 persone, il presidente affermò che “il divario tra i ricchi e i poveri nel Paese ha raggiunto un livello intollerabile, un gruppo formato da 162 persone possiede oltre la metà del patrimonio di tutto il Kazakistan”, cioè proprio il clan dell’ex “presidente eterno”.
Da allora, come affermano molti osservatori, il Kazakistan è in preda a una continua lotta tra la squadra di Nazarbaev e quella di Tokaev, circostanza peraltro sempre negata dai due contendenti. Recentemente però il presidente ha rilasciato un’intervista al giornale Ana Tili, in cui sostiene che Nazarbaev, che dopo le dimissioni aveva conservato la carica di presidente del Consiglio di sicurezza, “non si è distinto per delicatezza nelle questioni politiche, convocando regolarmente il presidente del consiglio e gli altri ministri, il presidente della Banca centrale, sindaci e funzionari di ogni genere”, ciò che dava l’impressione di un “potere ombra” che controllava la vita del Paese.
Negli ultimi anni Nazarbaev, avendo perso l’influenza diretta sulla vita politica, ha evitato di apparire in pubblico e di contestare in alcun modo la politica di Tokaev; dopo la morte del fratello Bulat, considerato il vero “amministratore delegato” della famiglia, anche gli affari sembrano essersi di molto ridotti, anche se recenti scandali hanno coinvolto di nuovo dei membri della famiglia dell’ex-presidente, nei confronti dei quali non sono state però decise misure punitive o restrittive. Il governo comunica regolarmente la restituzione di beni portati illegalmente all’estero da esponenti del clan familiare, che sembrano non esaurirsi mai.
Eppure molti commenti continuano a ritenere immutato il sistema costruito da Nazarbaev in trent’anni di regno incontrastato, come i sociologi Serik Bejsembaev e Alija Tlegenova del centro PaperLab, che in un’analisi pubblicata in questi giorni sostiene che le tante riforme annunciate e promesse siano soltanto “decorative”, mentre tutta la cerchia di potere del “nuovo Kazakistan” di Tokaev non è altro che una nuova generazione del “vecchio Kazakistan” di Nazarbaev. E che lo stesso presidente in carica, che i primi anni si mostrava “discreto e dialogante”, si stia sempre più evolvendo nella classica figura di “autocrate-patriarca”, come è tradizione da queste parti.
I sociologi osservano che “tutti gli attuali ministri e akimy [sindaci] vengono dalla casta di Nazarbaev”, come lo stesso primo ministro Olžas Bektenov, che ha svolto tutta la sua carriera nei servizi dello Stato, diventando poi capo dell’agenzia anti-corruzione, e non si è realizzata una “reale suddivisione dei poteri”: tutte le decisioni sono prese dal palazzo presidenziale dell’Akorda, senza lasciare spazio al parlamento. Allo stesso tempo aumentano le condanne degli attivisti per i diritti umani e dei giornalisti indipendenti, ed è stato negato perfino l’accredito ai giornalisti di Radio Azattyk, pur essendo tutti kazachi e con i documenti in regola.
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