Vicario d’Arabia: a Doha ‘dialogo possibile’ anche dopo il raid di Israele ad Hamas
Dopo che jet e droni israeliani hanno colpito ieri la delegazione in Qatar per discutere della tregua e della liberazione degli ostaggi, resta incerto l’esito dell’attacco che ha provocato almeno sei morti. Mons. Berardi: operazione che ha destato “sorpresa” ma i vertici del Paese inviano segnali di “normalità”. Lettere e fondi: la solidarietà dei bambini del vicariato per i coetanei di Gaza.
Milano (AsiaNews) - Il Qatar resta un luogo in cui “il dialogo è possibile” anche a fronte dell’attacco di ieri che ha “destato sorpresa”, sebbene i vertici di Doha abbiano voluto inviare nelle ore successive un messaggio di “normalità, il clima è tranquillo e non vi sono segnali” di escalation al momento. È quanto racconta ad AsiaNews il vicario apostolico dell’Arabia settentrionale mons. Aldo Berardi, sacerdote dell’Ordine della Santissima Trinità e degli Schiavi di cui è stato vicario generale, da oltre due anni, commentando il radi di Israele contro i vertici di Hamas. Una operazione che segna un ulteriore inasprimento nel conflitto in Medio oriente e che potrebbe affossare gli sforzi diplomatici in atto per una tregua a Gaza e la liberazione degli ostaggi nella Striscia. Lo stesso papa Leone XIV ha subito espresso grande preoccupazione per le possibile conseguenze, affermando che “l’intera situazione è molto grave”.
Doha mantiene sempre “una posizione di privilegio” racconta al telefono il prelato, perché “è un interlocutore di Hamas, intrattiene relazioni con gli altri Paesi del Golfo e ospita una base americana e ha un dialogo costante con gli Stati Uniti, che certamente continuerà”. Vi sono poi, prosegue, elementi di “ambiguità” in questi rapporti incrociati, ma “ciò non toglie che il Qatar sarà sempre un punto di incontro importante e dobbiamo prestare attenzione ai movimenti che si registrano” nella capitale, che ospita anche i vertici in esilio e diplomatici di Hamas.
Nei Paesi del Golfo “il clima al momento è tranquillo” racconta mons. Berardi, oggi in Bahrein ma nei giorni scorsi in Qatar per impegni pastorali. “Non hanno chiuso l’aeroporto di Doha e non vi sono stati particolari provvedimenti, anche se non possiamo ancora sapere quale sarà la reazione delle autorità del Qatar”, soprattutto a livello di “canali diplomatici sotterranei”. “Di certo vi è che le autorità - prosegue - hanno voluto inviare un messaggio di normalità, non vi sono stravolgimenti e questo è anche l’approccio degli altri Paesi dell’area”, da Manama a Kuwait City e Riyadh, anche a fronte di un “attacco limitato”.
Ieri Israele ha lanciato un’operazione militare contro i vertici della delegazione politica di Hamas, in Qatar per discutere del cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi secondo il piano presentato dagli Stati Uniti. Il Wall Street Journal riferisce che da settimane intermediari turchi ed egiziani avevano avvertito i capi del movimento che controlla la Striscia di un possibile attacco a Doha, invitandoli a rafforzare la sicurezza durante riunioni e spostamenti. Hamas ha detto che cinque dei suoi membri sono stati uccisi nell’attacco (oltre a un elemento delle forze di sicurezza qatariota), tra cui il figlio del capo di Gaza in esilio e principale negoziatore Khalil al-Hayya, ma i vertici politici sarebbero sopravvissuti. Tuttavia, non si hanno certezze sull’esito.
Il presidente Usa Donald Trump ha dichiarato di essere stato avvertito poco prima dell’attacco e Washington ha informato la controparte qatariota; l’emiro Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani ha replicato di aver ricevuto la prima notifica 10 minuti dopo l’inizio dell’offensiva israeliana, che definisce un “attacco criminale sconsiderato” ma non bloccherà gli sforzi di mediazione. Il primo ministro Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani aggiunge che il Paese “si riserva il diritto” di rispondere. La portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt ha sottolineato che colpire Hamas è un obiettivo degno ma farlo in Qatar, un importante alleato e con un ruolo attivo nella mediazione, “non favorisce il raggiungimento degli obiettivi di Stati Uniti o della stessa Israele”.
L’operazione israeliana chiamata “Atzeret HaDin” (Giorno del giudizio) con uso di jet militari e droni ha suscitato reazioni negative in tutto mondo, perché ha preso di mira una nazione sovrana e impegnata nella mediazione. Immediata la condanna degli altri Paesi chiave della regione, fra i quali l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (Eau), secondo cui il raid rischia di far deragliare future trattative. Del resto il Qatar è un partner chiave in tema di sicurezza anche per gli Stati Uniti e ospita la base aerea di al-Udeid, la più grande struttura militare Usa in Medio oriente. Il segretario generale Onu Antonio Guterres ha espresso una ferma condanna, elogiando al tempo stesso il ruolo “molto positivo” di Doha nella ricerca di un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi. Gli stessi familiari dei rapiti nelle mani di Hamas sono molto preoccupati, perché temono l’operazione possa affossare ogni residua speranza di un loro ritorno. Di oggi la condanna anche della Cina.
Incassato l’attacco israeliano in una nazione neutrale e superato lo stupore, mons. Berardi sottolinea che “l’attenzione generale resta rivolta alla Striscia” sia dal punto di vista diplomatico che umanitario con il governo dello Stato ebraico che “ha ordinato l’evacuazione di Gaza City. Vediamo gente che scappa - prosegue - ma sinora non è emersa una reale apertura dei Paesi del Golfo e dell’Egitto in una prospettiva di accoglienza”. La popolazione del vicariato del Nord - che estende la propria giurisdizione su quattro Stati della Penisola, con situazioni diverse a livello sociale, politico e di libertà religiosa: Bahrein, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita - “è molto interessata a quanto succede a Gaza. Di contro, non si parla quasi più della Siria e persino dello Yemen, che è riapparso nelle cronache solo in occasione del bombardamento americano agli Houthi”.
La situazione a Gaza, e più in generale in tutta la Terra Santa saranno con tutta probabilità al centro della prossima Conferenza dei vescovi latini nelle regioni arabe (Celra) in programma a ottobre in Giordania. “Attendiamo di poterci incontrare - conferma mons. Berardi - e di poter parlare di persona con il patriarca di Gerusalemme dei latini [il card. Pierbattista Pizzaballa]. Vogliamo avere maggiori informazioni e un quadro della situazione, anche sulle tensioni fra Chiese e lo Stato di Israele a partire dalla pressione fiscale che costituisce una spada di Damocle”. Intanto, a livello di vicariato del Nord si prega e si preparano iniziative di solidarietà a favore della popolazione della Striscia, soprattutto per i più piccoli. “I bambini - racconta il prelato - pregano per i loro coetanei di Gaza e stanno scrivendo loro lettere, cartoline che porterò al card. Pizzaballa ad Amman. Sono preoccupati anche loro per quanto sta accadendo - conclude - e vogliamo esprimere la nostra vicinanza con messaggi e raccolte fondi per sostenerli nei bisogni quotidiani”.