20/09/2008, 00.00
VIETNAM
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Vietnam, bambini sieropositivi abbandonati dai genitori e dal governo

di Nguyen Hung
Nella ex-Saigon vi sono 1.750 bambini malati di Aids o sieropositivi, che devono subire emarginazione e discriminazione. Il regime comunista blocca le attività della Chiesa e delle associazioni umanitarie, che chiedono maggiore “libertà e fiducia” per aiutare i minori.

Ho Chi Minh City (AsiaNews) – Emarginazione, discriminazione, scarse possibilità di completare il curriculum scolastico di base e paura per un futuro che vedono incerto, privo di prospettive concrete di riscatto. È questa la realtà che vivono 1.750 bambini di Ho Chi Minh City affetti da Aids o sieropositivi, a fronte di un numero complessivo di malati che nella sola ex Saigon registra – secondo stime ufficiali – 34.909 casi, anche se il numero reale potrebbe essere addirittura il doppio.

La mancanza di una famiglia solida che si prenda cura della loro sorte è uno dei problemi principali che i bambini sieropositivi devono affrontare: secondo le statistiche, su 100 bambini che vivono nel distretto di Go Vap, a Ho Chi Minh City, il 48% soffre per la mancanza dei genitori mentre il 22% ammette di essere preoccupato per un futuro che vede “compromesso in maniera irreparabile”.

A dispetto dello slogan tanto caro allo “zio Ho” – come veniva familiarmente chiamato Ho Chi Minh – secondo il quale “tutti i cittadini sono uguali e godono di pari diritti”, molte sono le discriminazioni verso i malati, che vengono emarginati dal resto della società. Un problema che si agrava per i più piccoli, che fin dalla scuola devono affrontare disparità di trattamento che in molti casi arrivano fino all’isolamento.

Tam, 9 anni e sieropositivo, confessa che molti bambini non vogliono giocare con lui perché sono “impauriti”. Una donna racconta di aver aiutato un altro bambino a trovare posto in una scuola elementare della città, dove ha assistito con regolarità per sei mesi alle lezioni “senza imparar nulla”. Quando è andata dalle maestre a chiedere spiegazioni si è accorta che il minore era tenuto lontano dagli altri bambini, in un angolo della classe, senza alcun contatto con gli altri. L’insegnante si è giustificata dicendo che “era preoccupata” che gli altri alunni potessero “contrarre l’infezione” anche solo condividendo lo stesso spazio fisico.

Per far fronte all’emergenza la Chiesa cattolica e diverse organizzazioni umanitarie (26 in tutto) hanno avviato una serie di progetti dedicati ai bambini sieropositivi. Un attività caritativa che intende alleviare le sofferenze dei malati ma che in molti casi è ostacolata dal governo, il quale  “teme le iniziative delle associazioni religiose”. Per questo i volontari chiedono maggiore libertà di azione: “Se le autorità continueranno a mantenere dei pregiudizi nei confronti della religione – denunciano – il Paese non potrà mai progredire sulla via della parità sociale e dei diritti umani”.

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