12/09/2016, 14.53
TURCHIA
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Ankara caccia 28 sindaci, sospettati di legami con i curdi del Pkk e il leader “golpista” Gülen

Per il governo gli amministratori erano “controllati” o “diretti” nelle loro decisioni da terroristi o leader combattenti oltreconfine. Al loro posto amministratori fedeli al presidente. Diversi feriti per un’esplosione a Van, nel mirino la sede del governo. Intellettuali turchi contro le purghe promosse da Erdogan. 

 

Istanbul (AsiaNews/Agenzie) - Le autorità turche hanno sollevato dall’incarico 28 sindaci di diverse città del Paese, sospettati di legami con il Pkk (il Partito dei lavoratori del Kurdistan) o con il leader islamico Fethullah Gülen, a capo - secondo Ankara - del fallito golpe del 15 luglio scorso. Per il ministro degli Interni Suleyman Soylu gli amministratori erano “controllati” o “diretti” nelle loro decisioni da terroristi o leader combattenti oltreconfine. Oggi intanto un’esplosione ha colpito la cittadina orientale di Van, provocando diversi feriti. Lo scoppio è avvenuto nei pressi della sede dell’Akp (il partito di governo) e dell’ufficio del governatore. 

I sindaci rimossi - e sostituiti da personalità vicine al governo - sono per la grande maggioranza situati nella regione sud-orientale della Turchia, dove vi è una nutrita rappresentanza curda e in un’area da tempo teatro di violenze. In particolare le cittadine di Sur e Silvan, nella regione di Diyarbakir e Nusaybin a Mardin sono noti per ospitare nuclei del Pkk.

Dei 28 sindaci rimossi ieri, 24 sono accusati di legami con le milizie curde e gli altri quattro di simpatie con il movimento di Gülen, in esilio da tempo negli Stati Uniti e di cui Ankara ha chiesto - finora invano - l’estradizione a Washington. 

Immediata la reazione dei parlamentari del Partito democratico popolare (Hdp, filo-curdo) che parlano di “violazione dei diritti dell’uomo” e dei “trattati internazionali”. “Non vi sono differenze fra bombardare un Parlamento eletto dal popolo - si legge in una nota - e cacciare degli eletti alle varie municipalità”. 

Dietro la nuova serie di epurazioni lo Stato di emergenza dichiarato in seguito al fallito golpe della notte fra il 15 e il 16 luglio; una vicenda dai contorni ancora oscuri, ma che ha offerto ai vertici turchi - e allo stesso Erdogan - la possibilità di lanciare una vera e propria campagna di pulizia che ha portato all’arresto di decine di migliaia di persone. 

Se per il partito filo-curdo la cacciata è una sorta di “golpe amministrativo”, per il presidente Recep Tayyip Erdogan è un provvedimento che “giunge fin troppo tardi” e che “andava preso già in precedenza”. La dichiarazione è giunta a margine di un incontro di preghiera cui il capo di Stato ha preso parte oggi a Istanbul, per celebrare la festa islamica del sacrificio (Eid al-Adha). 

Nei giorni scorsi Ankara ha diffuso i dati aggiornati relativi alle “purghe”. Almeno 76mila persone sono state fermate e altre 16mila arrestate per presunti legami con il movimento di Gülen. In totale il numero delle persone sottoposte a interrogatorio ha superato quota 100mila. Migliaia le persone cacciate dal proprio posto di lavoro; di questi, la maggioranza erano dipendenti nel settore della pubblica istruzione. Inoltre, sono almeno 20mila i posti tuttora vacanti fra le fila dell’esercito in seguito all’arresto o all’uccisione di ufficiali e soldati implicati nel colpo di Stato. 

Attivisti e organizzazioni pro diritti umani hanno accusato il governo turco di utilizzare il pretesto del terrorismo e del fallito golpe per colpire fra gli altri l’opposizione, la dissidenza e la minoranza curda. Ankara avrebbe anche utilizzato la violenza e la tortura contro sospetti, a carico dei quali non vi erano prove certe di coinvolgimento; a questo si aggiunge la detenzione di giovani in età scolare perché avrebbero intrecciato legami con il movimento del leader spirituale Fethullah Gülen.

Fra le voci critiche vi è anche quella dello scrittore turco Orhan Pamuk, Nobel per la letteratura nel 2006, che denuncia l’arresto di decine di giornalisti fra i quali Ahmet Altan e del fratello Mehmet Altan. L’intellettuale parla di operazioni di “vendetta” operate dal governo “contro “i suoi più brillanti pensatori e scrittori, qualora non condividano il suo punto di vista”.

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