29/12/2017, 13.43
BANGLADESH
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Khulna, suore del Pime festeggiano il Natale con i lebbrosi (Foto)

Sr. Roberta Pignone dirige il Damien Hospital, che accoglie anche malati di tubercolosi. La festa con lo staff e i pazienti. Le scene del Vangelo rappresentate da musulmani e indù. Un momento di riconciliazione dedicato al personale cristiano, “in cui mi sono sentita ancora di più madre che si prende cura delle loro anime”.

Khulna (AsiaNews) – Natale con i lebbrosi e i malati di tubercolosi, dove il significato della nascita di Cristo viene spiegato dai musulmani. È quello trascorso da poco al Damien Hospital di Khulna nel sud del Bangladesh. Ad AsiaNews sr. Roberta Pignone, missionaria dell’Immacolata (congregazione femminile associata al Pontificio istituto missioni estere), medico e direttrice del centro, racconta la gioia dei festeggiamenti, organizzati non dalle suore, ma dallo staff cristiano e musulmano. La suora spiega: “L’organizzazione è curata dal personale per un motivo ben preciso: per ribadire che noi missionarie non siamo qui per nostra scelta. Siamo qui perchè Gesù ci ha inviate. Tramite loro abbiamo voluto ricordare il motivo per cui siamo qui e spiegare il significato del Natale. Noi non abbiamo fatto nessuna proclamazione diretta del Vangelo, ma continuiamo a predicarlo con la nostra vita. È bello che i nostri collaboratori riportino ad altri il messaggio di Gesù così come riescono a coglierlo dal nostro esempio”.

I festeggiamenti si sono svolti lo scorso 22 dicembre, sulla terrazza dell’ospedale. Il centro nasce nel 1986 per volontà delle suore del Pime, con l’obiettivo di curare e prevenire casi di lebbra. Dal 2001 la struttura accoglie anche affetti da tubercolosi. Con il loro servizio, le missionarie tentano di creare una rete di collaborazione sul territorio in modo da identificare con maggiore efficacia i nuovi contagi e diminuire l’incidenza di entrambe le malattie. Nel solo 2017, riporta, “abbiamo individuato 35 nuovi casi di lebbra e curato 400 pazienti di Tbc”.

Sr. Roberta racconta che “in totale alla festa di Natale hanno partecipato 60 persone, tra personale e pazienti. Noi suore siamo state semplici spettatrici dello spettacolo preparato dal personale”. Tra gli aspetti da sottolineare, aggiunge, “vi è la collaborazione di un dipedente musulmano, che ha spiegato la figura di Gesù. Lo ha presentato come colui che è mandato dal Padre sulla terra a portare la pace, ad insegnare l'amore”.

A rallegrare la festa, “scenette e canti tipici bengalesi di Natale. Tra le scene più significative, la rappresentazione della parabola delle vergini sagge e stolte, che simboleggia l’attesa dello sposo che viene. Le ragazze hanno anche messo in scena momenti di dolore e fatica, nei quali Gesù viene a sanare le persone, portando pace e serenità”. Che è quanto avviene in ospedale, con la cura amorevole delle suore. 

L’aspetto interessante, aggiunge la direttrice, “è che alla rappresentazione di questo brano del Vangelo hanno preso parte anche una giovane musulmana e una indù. È stato bello vedere che persone di religione diversa si uniscono a rappresentare gli insegnamenti del Vangelo”. Da evidenziare, continua sr. Roberta, “è che i pazienti sono stati presenti fino alla fine dello spettacolo, nessuno li ha costretti, avrebbero potuto ritirarsi nelle proprie stanze. Invece hanno accolto il messaggio che volevamo donare loro: chi è Gesù, che cosa ha fatto, perchè è venuto sulla terra e soprattutto il motivo della nostra presenza come missionarie".

La suora tiene a raccontare un “momento che mi ha toccato molto, avvenuto il giorno prima della festa. È l’incontro dedicato al personale cristiano, un momento per la riconciliazione. Io organizzo nella nostra cappella le confessioni, un raccoglimento di celebrazione penitenziale comunitaria. In quei momenti ho avvertito che non sono solo la direttrice del progetto, il medico-capo che governa l’ospedale, ma anche la sorella che si prende cura del loro cammino spirituale e delle loro anime. Nella semplicità del sentirmi dire ‘Grazie sister, perchè hai organizzato tutto questo per noi’, mi sono sentita ancora di più madre e responsabile delle loro vite”.

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