Dopo lo scontro a fuoco del 25 maggio non scende la tensione politica tra i due Paesi con la Thailandia che rifiuta "ingerenze esterne" sui confini. Una crisi che si intreccia con il verdetto atteso per il 13 giugno sull'ex premier Thaksim, in passato legato da amicizia e affari al clan di Hun Sen. E con i contrasti mai sopiti davvero a Bangkok tra la sfera politica e i militari.
Gli operatori pastorali che svolgono il loro ministero nelle prigioni si sono incontrati in questi giorni a Bangkok per il loro incontro nazionale. I detenuti sono tra i gruppi più emarginati nella realtà locale. Il vescovo di Chiang Rai mons. Wuthilert Haelom: "Stare con loro non è solo un servizio sociale, ma un'espressione viva della misericordia di Dio".
La Thailandia minimizza l’accaduto, mentre dalla Cambogia non vi sono commenti ufficiali. Per una decina di minuti si è registrato uno scambio di colpi, pur senza feriti o vittime. Avviati i contatti fra comandi per scongiurare l’escalation. Dietro l’incidente la questione irrisolta delle frontiere fra nazioni dell’area, che riguarda anche il Laos.
L’arcivescovo emerito di Bangkok ha guidato la Chiesa cattolica thailandese con attenzione alla missione e al dialogo interreligioso. Figura centrale nella fondazione della Thai Missionary Society - sostenuta dal missionario del Pime p. Adriano Pelosin - ha promosso la vicinanza ai poveri e l’apertura verso la maggioranza buddhista. Sarà tra i cardinali elettori al prossimo Conclave.
È in corso a Bangkok il vertice dell'Escap sull'obiettivo di sviluppo sostenibile che mette al centro proprio quelle periferie urbane tanto care anche a papa Francesco. La denuncia: la regione Asia-Pacifico registra il più grande deficit abitativo al mondo e lo sviluppo e l’arricchimento dei centri urbani non sta risolvendo il problema. Mentre il cambiamento climatco rischia di peggiorare la situazione.
Paul Chambers, che insegna presso l'Università Naresuan, è accusato dai militari di aver violato in una sua pubblicazione il contestato articolo 112 del Codice penale, che prevede pene da tre a 15 anni per chi diffama la monarchia thailandese. Finora raramente contestato agli stranieri, dal 2020 a oggi questo reato è stato sollevato 279 volte per reprimere le proteste degli studenti.