25/10/2025, 08.55
MONDO RUSSO
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Il ‘miraggio della vittoria’ nella lunga campagna di guerra russa in Ucraina

di Stefano Caprio

Si avvia alla conclusione la campagna militare 2025 prima del gelo invernale, la più violenta e sistematica. Per gli esperti “il contesto strategico della guerra sta cambiando”, mentre l’economia scivola verso la stagnazione. La tentazione di Trump di concludere con Putin un “affare reciproco”.  Né la Russia, né l’Ucraina sono veramente in grado di modificare il corso e il carattere della guerra. 

L’illusione di una nuova trattativa di pace tra Donald Trump e Vladimir Putin, con scenario ancora più gradito ai russi rispetto all’Alaska come l’Ungheria dell’amico di Mosca Viktor Orban, si è dissolta dopo la mossa di Volodymyr Zelenskyj, che si è detto disponibile a unirsi ai due imperatori, e lo scarso gradimento degli altri Paesi europei. È stato il ministro degli Esteri Sergej Lavrov a chiudere la questione, non vedendo la necessità di sospendere le operazioni militari senza la garanzia della vittoria per la Russia.

E in effetti il miraggio della grande vittoria sembra allontanarsi sempre di più, mentre ci si avvia alla conclusione della campagna militare del 2025 prima del gelo invernale, la più violenta e sistematica dei quattro anni di guerra, senza aver ottenuto risultati concreti. Con piogge continue di missili e droni, ricambiati dagli ucraini con la sistematica distruzione dei siti energetici russi, e numeri sempre più impressionanti di caduti militari e civili innocenti, l’avanzata russa ha guadagnato secondo i calcoli più verosimili non oltre tremila chilometri quadrati, lo 0,4% del territorio ucraino. Per The Economist servono almeno altri cinque anni a questo ritmo per conquistare l’intero territorio delle quattro regioni occupate del Donbass di Lugansk, Donetsk, Kherson e Zaporižja, e se Mosca volesse occupare l’intera Ucraina bisognerà aspettare oltre un secolo, una prospettiva a cui il Cremlino non si sottrarrebbe comunque.

Secondo Nigel Gould-Davies, esperto dell’Istituto internazionale di ricerche strategiche, “il contesto strategico della guerra sta cambiando”. La campagna estiva della Russia è fallita con enormi perdite di forze in campo, superando ormai i 300mila tra morti e feriti gravi in tutto, e la strategia di accordo con gli americani non sta dando alcun risultato, anzi ha provocato ulteriori danni con la recente sanzione sul petrolio russo. I finanziamenti europei all’Ucraina, pur nella lentezza con cui vengono decisi e realizzati, “si stanno trasformando in uno tsunami” per i russi, e crescono i problemi interni per un’economia che scivola sempre più verso la stagnazione. La Cina offre qualche sponda con le consegne di tecnologia per gli armamenti, ma il vero sostegno sarebbe l’acquisto di gas con le nuove infrastrutture da costruire, ciò che non potrà dare un reale sostegno alle risorse finanziarie della Russia prima del 2030.

D’altra parte, gli alleati occidentali degli ucraini non sembrano in grado di insistere a sufficienza su questi fattori critici, per costringere la Russia al cessate il fuoco a condizioni accettabili per Kiev. A Washington non sembra superata la tentazione di concludere con Putin un “affare reciproco” a svantaggio dell’Ucraina, nonostante i tentennamenti dei colloqui tra Trump e Putin, e queste incertezze incoraggiano la Russia nel proseguire la guerra a oltranza, variando i tempi e le modalità delle operazioni militari. L’avanzata russa dipende dal rilievo geografico delle zone, dal livello di urbanizzazione e concentrazione di industrie e strutture produttive, ciascuna delle quali secondo le necessità può trasformarsi in bastione difensivo a lungo termine.

L’esercito russo può muoversi con tempi relativamente rapidi nella direzione settentrionale della regione di Zaporižja, la parte ancora non occupata e controllata dagli ucraini, qualche centinaio di chilometri quadrati poco abitati e con pochi confini naturali per la difesa come fiumi e alture, ma anche poco significativi dal punto di vista strategico. Nella regione di Donetsk, molto più urbanizzata e industriale, l’avanzata dei russi è molto lenta e senza grandi possibilità di mantenere i chilometri già raggiunti, come del resto avviene da queste parti da ben prima del 2022, con gli scontri “ibridi” e variabili iniziati nel 2014.

Negli ultimi mesi gli sforzi principali dei soldati russi si concentrano su due snodi fondamentali dei trasporti per tutto il Donbass, quelli di Kupjansk e Pokrovsk, da cui si apre l’accesso a Liman e la possibilità di avanzare a nord di Zaporižja e a sud-est di Dnepropetrovsk. Secondo gli esperti, questo indica la volontà dello Stato maggiore russo di creare le condizioni per una campagna di primavera-estate dell’anno prossimo verso Zaporižja, con un aggiramento per attaccare quindi la “linea delle fortezze” della regione di Donetsk, dove sono schierati i distaccamenti più robusti delle forze armate ucraine sulla linea Slavjansk-Kramatorsk-Konstaninovka. Senza la conquista di queste roccaforti risulta impossibile l’occupazione definitiva della zona, ma l’operazione richiede colossali spiegamenti di forze e mezzi, con perdite umane certamente molto numerose.

Gli scarsi risultati delle azioni militari dell’anno in corso, soprattutto a fronte delle grandi ambizioni di Mosca, insieme al peggioramento delle condizioni economiche, stanno suscitando ai vertici della Russia un’evidente incertezza, anche se ovviamente non si traduce in pubblici dibattiti se continuare la guerra senza fermarsi o accettare le proposte di Trump, cercando di trasformare il conflitto in “guerra ibrida” permanente. Nell’incontro con i generali dello Stato maggiore dei giorni scorsi, Putin ha ribadito che “dobbiamo garantire di raggiungere senza condizioni tutti gli scopi che stanno davanti all’esercito, nel corso dell’operazione militare speciale”, frase riportata con grande enfasi dalla Tass e da tutti i media statali. Questo presuppone il rifiuto di qualunque accordo, poiché in esso le parti in causa devono comunque rinunciare a qualche obiettivo, ma la Russia potrebbe non essere in grado di portare avanti la guerra molto a lungo.

Non sono soltanto gli economisti all’estero e gli oppositori del regime putiniano ad affermare che l’economia russa è sempre più in crisi, ma la stessa presidente della Banca centrale Elvira Nabiullina ha riconosciuto che le riserve che hanno permesso di resistere nei primi anni di guerra sono ormai esaurite. Il capo del comitato della Duma per il bilancio statale, Andrej Makarov, ha dichiarato esplicitamente che “possono finire i soldi dello Stato”, ciò che porterebbe alla ripetizione di quanto avvenuto alla fine dell’Unione Sovietica. Uno dei fattori che colpisce più direttamente l’economia russa è la sempre più limitata capacità di esportare il petrolio attraverso le rotte marittime.

L’esportazione di petrolio grezzo e derivati costituisce infatti a tutt’oggi il 75% delle entrate sull’export di idrocarburi, e l’80% di essi viene trasportato via mare. Se questa direttiva venisse ridotta della metà, la Russia perderebbe circa 50 miliardi di dollari, o 4 mila miliardi di rubli, e teoricamente l’Ucraina ha la possibilità di raggiungere questo risultato. I trasporti di petrolio si svolgono principalmente attraverso un numero limitato di porti che si affacciano sul mar Baltico e sul mar Nero, in cui il ruolo fondamentale è ristretto a 6-7 terminali, tra cui i principali sono quelli di Primorsk e Ust-Luga sul Baltico, e quello di Šeskharis sulle rive del mar Nero, da ciascuno dei quali passano circa 75 milioni di tonnellate di petrolio all’anno. I porti di carico del petrolio sono strutture molto complesse tecnicamente, e obiettivi sensibili dal punto di vista militare, e per annientarli basterebbe una decina di missili Tomahawk, che finora Kiev non ha ottenuto dagli Usa, ma se saltassero tutte le trattative potrebbero tornare in gioco.

Certamente le forze armate ucraine, al di là delle consegne di armamenti da parte degli occidentali, si trovano in condizioni estremamente critiche, soprattutto per la carenza di personale per la mobilitazione alla guerra difensiva. Secondo le valutazioni ufficiali i soldati ucraini al fronte sono meno di centomila, a fronte di oltre mezzo milione di russi, a cui si aggiungono continuamente nuovi effettivi. Questo finora non ha condotto a una completa catastrofe, considerando che per l’attacco servono molte più forze che per la difesa, e che gran parte dei combattimenti oggi si svolge con l’invio dei droni d’assalto in grado di garantire le cosiddette “zone della morte”, spazi da circa 15 chilometri lungo le linee del fronte che impediscono al nemico di avanzare senza grandi perdite. Tuttavia, la difesa ucraina viene descritta come una “fascia porosa” con gravi lacune e aperture in mezzo alle zone di maggiore controllo, attraverso le quali riescono a penetrare gruppi limitati di assalitori russi.

Queste carenze nel sistema ucraino di difesa dipendono da diversi fattori sociali e politici interni al Paese, considerando i tanti giovani di classe medio-alta che fuggono dal servizio militare, appoggiandosi anche alle fasce più corrotte delle amministrazioni. L’ingiustizia sociale in Ucraina demoralizza la massa dei cittadini di livello inferiore che si assumono tutto il peso della guerra difensiva, e la classe politica non riesce a trovare soluzioni a questi squilibri. Il presidente Zelenskyj e i suoi più stretti collaboratori non vogliono cambiare il personale ai vertici dello Stato maggiore, temendo che l’ascesa di personaggi più efficaci, al posto degli attuali comandanti assai poco popolari ed evidentemente scarsamente competenti, possa generare ambizioni politiche difficili da arginare. La questione del futuro dell’Ucraina, anche oltre gli esiti della guerra, dipende molto da questi fattori.

In definitiva, né la Russia, né l’Ucraina sono veramente in grado di modificare il corso e il carattere della guerra, e per il prossimo anno lo scenario difficilmente presenterà altre soluzioni, oltre ai combattimenti a oltranza. La guerra rimane immutabile dal punto di vista militare, economico e politico, senza più comprendere i veri scopi del conflitto da una parte e dall’altra e lasciando prevalere le astrazioni mistico-ideologiche della “guerra dei mondi” tanto cara allo zar del Cremlino, o le operazioni demagogiche e finanziarie del grande immobiliarista della Casa Bianca.

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