04/09/2025, 10.18
LIBANO - SIRIA
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Il ritorno ‘massiccio e precario’ dei rifugiati siriani in Libano

di Fady Noun

Secondo Unhcr in poco meno di nove mesi oltre 200mila hanno scelto di tornare in Siria, alcuni per la prima volta dal 2011. Per le autorità di Beirut le partenze “alleggeriscono” il Paese dei cedri da un “peso demografico sostanziale”. Ma si assiste anche a un controesodo: dagli alawiti in fuga dalla costa, ai cristiani che vogliono andarsene dopo l’attentato alla chiesa di Damasco. 

Beirut (AsiaNews) - Inaspettata, spontanea e massiccia, una “spirale virtuosa” di rimpatri di rifugiati e migranti siriani dal Libano è in atto dalla caduta del regime di Bashar al-Assad a Damasco l’8 dicembre 2024. A confermarlo sono i dati e le osservazioni degli esperti sul campo, a partire dagli operatori dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr): in poco meno di nove mesi, infatti, sono oltre 200mila i siriani che hanno scelto di ritornare nel proprio Paese di origine, alcuni dei quali vi rimettono piede “per la prima volta dal 2011”, come riferisce l’organismo Onu.

Il 55enne siriano Hassan Attar (il nome è di fantasia a tutela dell’anonimato), tuttofare in un’azienda del Monte Libano e che risiede nel Paese dei cedri da oltre vent’anni, ha iniziato a fare i bagagli. Il suo progetto di vita per il futuro prossimo è già pronto. Originario di Idlib, seguendo l’esempio di molte famiglie siriane che conosce e hanno già compiuto il passo, tra pochi giorni tornerà in patria “con il cuore pieno di emozione”, accompagnato dalla moglie e dai cinque figli, di cui gli ultimi due sono nati proprio in Libano.

L’istruzione dei figli

Di recente si è recato già una prima volta a Idlib, nel nord della Siria, per una sorta di missione “esplorativa”. In città possiede un alloggio e ha dei parenti. La sua motivazione principale è l’istruzione dei figli. “Nessun sacrificio - racconta l’uomo ad AsiaNews - è troppo grande per assicurarsi che ricevano un’istruzione”. Sì, la sua casa a Idlib ha effettivamente bisogno “di essere riparata”, ammette, perché “è stata danneggiata dal terremoto del 2023 in Turchia”. Ciononostante, egli spera di poterla riparare “poco a poco”.

Il Libano, tuttavia, è ben lungi dall’essere diventato di secondaria importanza. Hassan, infatti, vi farà ritorno dopo aver sistemato la sua famiglia e, grazie al suo permesso di lavoro, continuerà a guadagnarsi da vivere nel Paese di adozione. Il suo figlio maggiore, questa almeno è la speranza, diventerà “militare o agente della sicurezza generale”. La sorprendente cifra di 200mila rimpatri è ben accolta dai vertici e dai responsabili di governo a Beirut. Un dato comunicato loro da Kelly Clements, diplomatica americana e  numero due dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, al termine di un tour di cinque giorni complessivi fra Siria e Libano.

“Credo addirittura che abbiamo superato quota 200mila” dichiara, rallegrandosene, ad AsiaNews Tarek Mitri, già ministro dell’Ambiente del governo di Najib Mikati e oggi vice-premier, incaricato di gestire le relazioni fra Beirut e Damasco, dopo aver incontrato la controparte siriana. Questi ritorni sono “i benvenuti”, prosegue, perché “alleggeriscono” il Paese dei Cedri da un “peso demografico sostanziale” che gravava su tutte le infrastrutture, ma “è ancora troppo presto per misurarne l’impatto”, precisa il politico e intellettuale di lungo corso.

Piano libanese per il ritorno

Per facilitare questi ritorni, il governo di Beirut ha messo a punto un dispositivo che prevede un aiuto finanziario di 100 dollari per ogni rifugiato che desidera partire, oltre all’esenzione dalle multe relative al soggiorno irregolare. In cambio, i candidati si impegnano a non tornare in Libano come richiedenti asilo. Valide fino alla fine di settembre, queste esenzioni potrebbero essere prorogate fino alla fine dell’anno, secondo una fonte della Sicurezza Generale. Nel frattempo, i loro effetti sulle intenzioni di partenza sono “magici”, assicura Hassan Attar, che prevede “un effetto valanga grazie alle esenzioni previste dalla Sicurezza Generale alle frontiere, alle notizie piuttosto rassicuranti provenienti da persone che hanno già fatto il grande passo, senza dimenticare la rivalutazione della lira siriana rispetto al dollaro”. Quest’ultima, infatti, ha registrato un aumento del 67% del suo valore dalla caduta del regime di Assad.

L’Alto commissariato Onu per i rifugiati, assicura Kelly Clements, “accompagna questo processo fornendo sostegno ai rimpatriati, che va dalle piccole riparazioni delle abitazioni all’aiuto finanziario e alla fornitura di beni di prima necessità”. Due antenne Unhcr sono state installate a Idlib e al valico di Joussy, al confine tra Libano e Siria, in particolare per aiutare a ricostituire i documenti relativi allo stato civile e registrare i bisogni e necessità dei rifugiati di ritorno.

Tuttavia, secondo quanto afferma il Consiglio norvegese per i rifugiati (Nrc), questi aiuti rimangono “insufficienti”. Citato dalla giornalista Sylviane Zehil sul sito Beyrouth360 Jan Egeland, segretario generale Nrc, in visita in Siria ad agosto, ritiene che “i ritorni massicci rimangano in parte precari” e avvengono “in un contesto di totale assenza di servizi: ospedali paralizzati, scuole sovraffollate, reti idriche ed elettriche distrutte” assicura Egeland. Il divario è abissale: dei 3,2 miliardi di dollari necessari per la risposta umanitaria al 2025, solo 414 milioni sono stati versati. In altre parole, “l’87% dei bisogni rimane insoddisfatto”.

Del resto il rapporto osserva che, in generale, la maggior parte dei rifugiati siriani rimane all’estero o sfollata all’interno del proprio Paese, e quella che dovrebbe essere una vittoria della speranza rischia quindi di trasformarsi in una situazione di stallo umanitario. Sempre secondo l’Onu, 13,5 milioni di siriani continuano a vivere come rifugiati o sfollati interni.

Nuove partenze

Tuttavia, mentre innumerevoli siriani fanno ritorno, altri continuano a fuggire. Nel governatorato di Al-Suwayda, a maggioranza drusa, 192mila persone sono state sfollate in poche settimane a causa dei recenti scontri sanguinosi con i beduini. I team sul terreno di Unicef e Nrc parlano di un “disperato” bisogno fra gli altri di acqua potabile, cibo e cure mediche. Secondo i dati forniti dagli osservatori, circa 30mila siriani alawiti sono fuggiti dalla costa siriana dopo i massacri perpetrati da estremisti islamici lo scorso marzo. La grande maggioranza di loro è entrata in Libano attraverso vie illegali e il loro numero esatto rimane incerto. Infine, all’interno della comunità cristiana, colpita durante la messa a Damasco da un attentato suicida che ha causato 24 morti, i giovani siriani sognano solo una cosa: ottenere un passaporto e andarsene.

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