30/06/2025, 11.33
IRAN
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Impiccagioni, arresti tra minoranze e immigrati: il post guerra di Teheran

Nei giorni scorsi eseguita la sentenza di tre uomini accusati di “spionaggio” per Israele. Decine i migranti afghani fermati nell’operazione “Plan Hijrat”. Secondo l’Onu, Teheran deporta fino a 30mila afghani al giorno. Arresti e interrogatori anche fra i Baha’i e gli ebrei iraniani. Una apparente prova di forza per mascherare le debolezze sul piano militare.

Teheran (AsiaNews) - Arresti, impiccagioni, minoranze religiose e immigrati nel mirino. La stretta degli ayatollah nei giorni successivi la tregua con Israele e Stati Uniti, che ha segnato la fine della “Guerra dei 12 giorni”, riflette la caccia ai cosiddetti “nemici interni” alla Repubblica islamica, i quali avrebbero favorito l’operazione militare dello Stato ebraico. Nei giorni scorsi Teheran ha eseguito la condanna a morte di tre uomini accusati di “spionaggio” per Israele: si tratta di Edris Ali, Azad Shojaei e Rasoul Ahmad Rasoul, curdi etnici della città nord-occidentale di Urmia accusati di aver aiutato il Mossad nell’assassinio, nel 2020, dello scienziato nucleare Mohsen Fakhrizadeh. Al contempo centinaia di persone - in larga maggioranza civili - sono finiti nelle carceri e nelle caserme di polizia di tutto il Paese, fra le quali 700 accusate di appartenere a una “rete di spionaggio israeliana” collegata all’attacco israeliano del 13 giugno.

Archiviate quasi due settimane di guerra , l’Iran si sforza di proiettare al suo interno un’immagine di vittoria sul piano ufficiale. “La Repubblica islamica ha vinto” ha affermato la guida suprema Ali Khamenei in un videomessaggio il 26 giugno, dopo essersi a lungo rinchiuso in silenzio e in isolamento. Tuttavia, all’interno dei confini è in atto una vera e propria dimostrazione di forza per mascherare le sue debolezze militari, legate alla sconfitta subita dallo Stato ebraico, col sostegno di Washington. A cominciare dall’enorme falla nella sicurezza, col Mossad che si è infiltrato fino alle più alte sfere del potere a Teheran.

Una delle ultime operazioni condotte dalla polizia iraniana ha preso il nome di “Plan Hijrat”, è durata 24 ore e ha portato all’arresto di almeno 18 immigrati di nazionalità afghana, nella provincia nord-occidentale di Ardabil. Dietro al raid vi è l’ordine preciso di identificare e deportare i migranti non autorizzati, in risposta alle “richieste e preoccupazioni dell’opinione pubblica”. Inoltre quanti ospitano, trasportano o sfruttano il lavoro di migranti privi di documenti rischiano il processo e vengono incentivate segnalazioni di casi sospetti. Gli arresti si inseriscono in un contesto più ampio di espulsioni, intensificato negli ultimi giorni. Secondo l’Onu la Repubblica islamica deporta fino a 30mila afghani al giorno, mentre resta in vigore la scadenza di metà luglio come termine ultimo per lasciare il Paese volontariamente, mentre quanti restano sono a rischio arresto e deportazione.

Lo stesso ministero degli Interni si è espresso al riguardo, affermando che negli ultimi anni si sono registrati casi di migranti che sono entrati in Iran in modo più o meno legale e con “intenzioni ostili”. Da qui l’arresto di decine di persone nelle ultime settimane, la maggior parte delle quali con l’accusa di “spionaggio”. Oltre agli afghani, fra i fermati vi sono anche immigrati provenienti dall’India e dall’Iraq, sempre con l’accusa di spiare per Israele (o gli Stati Uniti) o di compiere atti di sabotaggio. Confessioni forzate di alcuni migranti afghani sono state trasmesse sui media della Repubblica Islamica in questi giorni. Secondo fonti di IranWire, in alcuni casi le forze di sicurezza hanno fatto irruzione in hotel conosciuti per ospitare migranti di diverse nazionalità e hanno arrestato diversi gruppi, anche se al momento non vi sono statistiche ufficiali sul numero dei migranti detenuti.

Non solo migranti, perché i raid imposti dagli ayatollah colpiscono duramente anche le minoranze etniche e religiose: nel fine settimana gli agenti dell’intelligence hanno fatto irruzione nella casa di Mansour Meybodi, cittadino Baha’i a Rafsanjan, con un mandato di perquisizione per l’abitazione e di arresto per il figlio Mahyar Meybodi, al quale hanno requisito tutti i dispositivi elettronici. La lunga ondata di arresti e repressione non ha risparmiato nemmeno la comunità ebraica, con almeno 35 persone convocate dalle autorità e interrogate fra Teheran e Shiraz. Fra i capi di accusa vi sarebbero “i contatti” delle scorse settimane con parenti in Israele come riferisce l’ong attivista Hrana, nel novero della “più imponente operazione” contro la minoranza ebraica degli ultimi anni in Iran. “È stato posto l'accento sull’evitare qualsiasi comunicazione telefonica e online con l’estero” ha dichiarato l’ong citando una fonte vicina alle famiglie.

Nel 2011 il Parlamento iraniano ha approvato una legge che vieta i viaggi in Israele. Molti ebrei iraniani mantengono legami familiari e religiosi nel Paese e gli esperti di diritti affermano che la norma è diventata uno strumento di repressione. Una figura di spicco della comunità ebraica di Teheran ha dichiarato a Hrana che “abbiamo visto casi limitati [di repressioni] in passato, ma questo è senza precedenti”. L’entità delle convocazioni in caserma e delle perquisizioni è fonte di grande preoccupazione per la sicurezza stessa della comunità. Rani Omrani, giornalista indipendente, ha dichiarato a Iran International che le tattiche usate da Teheran riflettono la sua incapacità di affrontare direttamente Israele. “Poiché non possono raggiungere Israele, stanno punendo - conclude - gli ebrei innocenti a casa loro”.

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