Islamabad: la povertà è tornata a crescere, coinvolto il 25% della popolazione
Dopo anni vent'anni di progressi, il nuovo rapporto della Banca Mondiale fotografa una situazione drammatica: un pakistano su quattro vive oggi in povertà, con punte del 42,7% in Belucistan. Alla base del fenomeno un modello di crescita fragile, basato su lavoro informale che ha lasciato milioni di persone esposte alle crisi che si sono succedute a partire dal 2020. Vulnerabilità climatica, inflazione record e servizi pubblici carenti aggravano le disuguaglianze.
Islamabad (AsiaNews) – Dopo circa vent’anni di progressi, il Pakistan ha visto arrestarsi il suo percorso di riduzione della povertà, tornando a registrare un tasso del 25,3% per l’anno fiscale 2023-24. Un dato che segna un aumento di circa sette punti percentuali negli ultimi tre anni e una crescita che ha spinto circa 13 milioni di persone in più al di sotto della soglia della povertà. Ad affermarlo è il nuovo rapporto “Reclaiming Momentum Towards Prosperity” pubblicato ieri dalla Banca Mondiale e secondo cui le crisi economiche e ambientali che si sono succedute negli ultimi anni hanno eroso i progressi ottenuti in passato.
Tra il 2001 e il 2018 il tasso di povertà era sceso dal 64,3% al 21,9% (con un calo annuale di 3 punti percentuali fino al 2015 e poi di meno di 1 punto percentuale all’anno), grazie soprattutto all’uscita di milioni di persone dall’agricoltura di sussistenza e all’espansione del lavoro maschile in settori informali come i servizi e l’edilizia, oltre all’aumento dell’emigrazione e al contributo delle rimesse dall’estero, anche se questo non è indicato come fattore direttamente collegato alla riduzione della povertà, perché coloro che emigrano all’estero per ragioni economiche non appartengono alle fasce più povere della popolazione.
Il rapporto sottolinea che questo modello di sviluppo si è basato su dinamiche fragili e non su una trasformazione strutturale dell’economia del Paese. Tra il 2001 e il 2015, il 95% dei posti di lavoro informali erano assunti da persone provenienti dalla fascia più povera della popolazione e offrivano un reddito leggermente superiore rispetto a quelli del settore agricolo, ma senza garanzie né prospettive.
In questo modo milioni di persone sono riuscite temporaneamente a uscire dalla povertà, ma senza consolidare la propria posizione. Tra il 2011 e il 2021 salari reali sono cresciuti appena del 2-3% a causa della bassa produttività in tutti i settori. Tutte queste fragilità sono emerse con il succedersi di diverse crisi a partire dal 2020: la pandemia di covid-19, l’instabilità economica e politica, le devastanti alluvioni del 2022 e un’inflazione record che nel 2023 ha superato il 27%. Il rapporto sottolinea che già nel 2018 il 14% della popolazione era “vulnerabile” e rischiava di ricadere in una condizione di povertà al primo shock.
La debolezza del modello economico pakistano è quindi sistemica, ribadisce la Banca mondiale: oltre alla dipendenza da settori informali a bassa produttività, anche le disuguaglianze in termini di opportunità, la scarsa qualità dei servizi pubblici, l’appropriazione delle risorse da parte delle élite e la fragilità di risposta alle devastazione ambientali contribuiscono ad alimentare il tasso di povertà. Il Pakistan resta tra i Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico: le inondazioni del 2022 hanno devastato un terzo del territorio, colpendo in particolare le comunità rurali, che soffrono un tasso di povertà più che doppio rispetto alla popolazione delle aree urbane con un tasso del 28,2% contro il 10,9%. Le disparità geografiche sono marcate anche a livello di province: il Belucistan, per esempio, registra il dato più alto con un tasso di povertà del 42,7% e circa il 70% della popolazione al di sotto della soglia di indigenza.
La situazione è diventata una crisi dello sviluppo umano a causa di investimenti insufficienti in servizi pubblici essenziali. Il rapporto evidenzia che quasi il 40% dei bambini sotto i cinque anni soffre di rachitismo e un quarto dei bambini in età scolare non frequenta la scuola primaria, mentre il 75% di quelli che la frequentano non riesce a leggere e comprendere un testo semplice. Nel 2018 solo la metà delle famiglie disponeva di un accesso “sicuro” all'acqua potabile e il 31% non disponeva di strutture igienico-sanitarie per la gestione sicura dei rifiuti umani.
Sul fronte macroeconomico, le prospettive non sono più incoraggianti. Il modello di crescita, basato sui consumi pubblici e privati piuttosto che sugli investimenti e sulle esportazioni, ha portato a ripetuti cicli di espansione e recessione. Il Pil è cresciuto appena dello 0,3% nel 2023 e le previsioni per il 2024 parlano di un 1,6%: troppo poco per un Paese con una popolazione in rapido aumento. Intanto il debito pubblico è salito all’78% del Pil, lasciando poco spazio per investimenti produttivi, mentre la pressione fiscale resta tra le più basse della regione.
Secondo la Banca Mondiale, per uscire da questa spirale servono riforme profonde: rafforzare la base fiscale e l’efficienza della spesa pubblica, investire in capitale umano e innovazione, diversificare l’economia e accelerare la transizione energetica. Ma soprattutto occorre rafforzare le reti di protezione sociale, oggi largamente insufficienti, per proteggere la popolazione più vulnerabile dalle prossime crisi.
Sebbene i trasferimenti diretti alle famiglie più povere, come il programma BISP (Benazir Income Support Programme), abbiano un impatto positivo nel ridurre il divario di povertà (rendendo i poveri meno poveri ma senza farli uscire del tutto da una condizione di indigenza) questo effetto è spesso annullato dall'azione dell'intero sistema fiscale, che ha quindi un impatto pressoché nullo sulla riduzione delle disuguaglianze. Il rapporto raccomanda di eliminare i sussidi inefficienti (spesso sui combustibili o sull’energia) che tendono a beneficiare in modo sproporzionato le famiglie più ricche, sottraendo risorse preziose che potrebbero essere reindirizzate verso il 40% più povero della popolazione.
10/10/2022 10:57