La guerra in Iran e le conseguenze nel Caucaso
L'Azerbaigian si trova in prima linea rispetto allo scontro tra Israele e l'Iran, con il suo ruolo ambivalente di partner strategico di Tel-Aviv e relazioni complesse e contraddittorie con Teheran. Ma anche la vicina Armenia esprime apertamente il timore che il conflitto possa durare a lungo, coinvolgendo anche i Paesi della regione.
Baku (AsiaNews) - Sono molto sensibili i rischi del conflitto tra Israele e Iran per la situazione dell’Azerbaigian, partner strategico di Tel-Aviv con relazioni complesse e contraddittorie con Teheran. E con 689 km di frontiera con l’Iran dove sono possibili le provocazioni, ma anche i possibili attacchi iraniani contro gli obiettivi israeliani in Azerbaigian e la “guerra ideologica” per lo schieramento degli sciiti contro il governo attuale di Ilham Aliev.
Nella visione di Benjamin Netanyahu, questa guerra non è una semplice “operazione speciale” alla maniera russa, non è un episodio o un incidente, ma “una risposta decisa e sistematica a una minaccia esistenziale”, prima che gli ayatollah di Teheran abbiano la possibilità di schiacciare il bottone delle armi nucleari. I colpi inferti da Israele hanno già ritardato il programma nucleare iraniano di 6-7 anni, ma “questo non è sufficiente” per gli israeliani. I commenti da parte dell’Azerbaigian riportano che “noi non lottiamo con il popolo iraniano, ma con chi vuole rendere prigioniero tutto il Medio Oriente da Teheran fino a Beirut e Damasco”.
L’esercito israeliano e i suoi servizi di intelligence agiscono in simbiosi tra la superiorità tecnologica e l’informazione interna, in una guerra decisamente poco classica. La fine del conflitto è pensabile solo nel caso che Teheran ammetta la sconfitta strategica e tecnologica, e cerchi un accordo che riduca al minimo le perdite e permetta di salvare la faccia, elemento questo particolarmente importante per la mentalità mediorientale: senza riconoscere apertamente di avere perso, si può modificare la retorica e passare alle trattative economiche, cercando di mascherare le conseguenze della disfatta.
A Washington e Bruxelles pensano che “basti firmare qualche carta”, osservano i commentatori su Zerkalo.az, e il problema si risolve; a Teheran, invece, ritengono che le pressioni siano umiliazioni alle quali in qualche modo bisogna rispondere, preferibilmente con azioni di forza, piuttosto che con le trattative. Ma qui entrano in gioco gli equilibri tra i tanti attori della regione, dove l’Azerbaigian è ritenuto un “vero amico di Israele nel confronto con il mondo arabo”, in grado di convincere gli Stati del Golfo Persico a considerare Israele come un vicino, piuttosto che come un nemico.
L’Azerbaigian si trova però esposto a possibili turbolenze, con flussi di profughi dall’Iran che sono destinati ad aumentare nei prossimi giorni, mentre già si cominciano ad evacuare le popolazioni delle provincie di confine, con necessità di organizzazione logistica, sanitaria e amministrativa. L’Iran comincia ad accusare Baku di essere un “alleato dei sionisti”; di qui la necessità di una risposta pragmatica, senza cedere alle provocazioni.
Anche l’Armenia sta seguendo con attenzione l’evoluzione della situazione tra Israele e Iran, in questo caso con un orientamento più attento alle posizioni iraniane, con le preoccupazioni espresse dal presidente dell’Assemblea nazionale Alen Simonyan. Per ora non si registrano arrivi di profughi dall’Iran in Armenia, ma c’è la preoccupazione che “questa guerra possa durare ancora a lungo, e trasformarsi in qualcosa di più globale, coinvolgendo i Paesi della regione, mentre a noi servono vicini pacifici”. Gli equilibri della regione sono molto in bilico per tante tensioni passate, che si pensava fossero in fase di superamento, ma ora nuove nubi si addensano anche all’orizzonte del Caucaso meridionale.
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