07/10/2025, 11.19
MYANMAR - THAILANDIA
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Le speranze dei rifugiati con l'apertura di Bangkok al lavoro per i birmani

di Gregory

Dopo oltre 40 anni nei campi, per migliaia di profughi la prospettiva di un cambiamento atteso a lungo. Rifugiato Karen: “Non ho mai visto la mia patria” e “se la Thailandia ci permettesse di lavorare legalmente, tutto cambierebbe”. Una manodopera utile anche per colmare il crollo di cambogiani in seguito agli scontri al confine. Nuovi raid aerei della giunta nello Stato Shan. 

Bangkok (AsiaNews) - Dopo oltre 40 anni di vita trascorsi nell’incertezza, migliaia di rifugiati birmani ospiti dei campi profughi al confine con la Thailandia stanno iniziando a intravedere un cambiamento tanto a lungo atteso. Il governo di Bangkok, infatti, ha di recente mostrato un atteggiamento di apertura verso la concessione di permessi di lavoro ai residenti di lunga data dei centri e ai giovani appena arrivati che sono fuggiti dalla legge sulla coscrizione militare obbligatoria nel vicino Myanmar. Per molti, questo cambiamento rappresenta ben più di una semplice riforma sul piano burocratico: è un segnale del riconoscimento di una dignità umana troppo a lungo calpestata in anni di incertezza.

Un nuovo inizio

Tra coloro che sono cresciuti dietro le recinzioni di bambù dei campi profughi vi è Eugene, un giovane di etnia Karen che ha trascorso tutta la sua infanzia in uno degli insediamenti per rifugiati della Thailandia. Ora ventenne, il ragazzo sogna una vita al di fuori del campo. “Sono nato qui e non ho mai più rivisto la mia patria” racconta Eugene ad AsiaNews. “Se la Thailandia ci permettesse di lavorare legalmente, tutto cambierebbe. Potremmo - aggiunge il giovane - finalmente camminare con le nostre gambe”. Le sue parole  riflettono la silenziosa speranza di migliaia di persone nate apolidi, ma che da anni contribuiscono in modo discreto all’economia di confine della Thailandia e alle comunità locali.

Ancora di salvezza

Negli ultimi mesi, la Thailandia ha anche iniziato a consentire a molti giovani del Myanmar, in fuga dagli ordini di coscrizione della giunta militare, di rimanere nel Paese con un visto per studenti. In molti già studiano nelle scuole locali di lingua thailandese o professionali, trovando rifugio e uno scopo mentre evitano il reclutamento forzato nella loro terra di origine, segnata da un conflitto interno seguito al golpe militare del febbraio 2021. Ora che il governo si appresta a rilasciare permessi di lavoro per le categorie dei colletti blu e dei lavoratori, questa giovane generazione intravede una nuova strada verso la stabilità e la dignità. Uno di questi giovani, Jerome, un ventiduenne di Yangon, ha raccontato: “Siamo venuti qui per studiare perché non volevamo combattere in guerra. Se possiamo lavorare legalmente, possiamo vivere in pace e mandare dei soldi a casa. La Thailandia ci offre una seconda possibilità”.

Compassione e cooperazione

Questa nuova direzione politica evidenzia l’approccio pragmatico e umanitario della Thailandia nei confronti di una delle crisi dei rifugiati più lunghe della regione. Per decenni il popolo thai, in particolare nelle zone di confine, ha dimostrato una silenziosa generosità nei confronti di coloro che cercano rifugio dai conflitti. Mentre Papa Leone XIV celebra il Giubileo della Missione e dei Migranti, questo sviluppo rappresenta un miglioramento promettente e al tempo stesso incoraggiante, oltre che un riflesso tangibile della misericordia e della solidarietà verso coloro che vivono ai margini della società.

Restano però dei fattori di criticità: al tempo stesso, infatti, gli aiuti internazionali per i rifugiati in Thailandia sono in costante diminuzione. I principali donatori, come l’Usaid e l’Agenzia svedese per la cooperazione allo sviluppo internazionale (Sida), hanno iniziato a ridurre o a ritirare i loro finanziamenti ai programmi di assistenza ai rifugiati. Ciò ha lasciato molte famiglie di rifugiati nell’incertezza riguardo alle razioni alimentari, all’assistenza sanitaria e all’istruzione. In questo contesto, la decisione di Bangkok di offrire opportunità di lavoro non solo garantisce dignità, ma offre anche un percorso che consente alle famiglie di rifugiati per diventare autonome e costruirsi una vita indipendente dopo decenni di dipendenza dagli aiuti esterni.

Nel frattempo, a causa delle recenti tensioni lungo il confine tra Thailandia e Cambogia e del ritorno dei lavoratori cambogiani in patria, la Thailandia deve fronteggiare una grave carenza di manodopera nei settori economico e dei servizi. Secondo quanto riferiscono fonti ufficiali governative, oltre 1,5 milioni di lavoratori cambogiani hanno lasciato il Paese, creando un significativo deficit nella forza lavoro. Questa nuova iniziativa di consentire ai rifugiati e ai migranti del Myanmar di lavorare legalmente potrebbe così contribuire a rivitalizzare l’economia thailandese, colmando la grave carenza di manodopera e stimolando la crescita; al contempo potrà offrire agli sfollati la possibilità di ricostruire la propria vita con dignità. Nella dottrina sociale della Chiesa cattolica, il lavoro dignitoso non è solo una fonte di reddito, ma un’affermazione del valore umano. Mentre la regione affronta continui disordini, il gesto delle autorità di Bangkok può rappresentare una testimonianza di misericordia in azione, una compassione silenziosa e concreta che restituisce speranza a migliaia di persone che hanno conosciuto solo lo sfollamento.

Se per i birmani rifugiati all’estero si aprono nuove prospettive, in Myanmar si continua a combattere e a devastare anche nei giorni di festa: la giunta militare ha effettuato attacchi aerei sulle città di Thibaw e Namtu nello Stato Shan, controllate dal Ta’ang National Liberation Army (Tnla), in uno dei giorni più sacri per i buddisti del Paese. L’aeronautica della giunta ha lanciato ieri mattina raid simultanei contro le due città, in concomitanza con il Thadingyut Full Moon Day. Il bilancio parla di decine di abitazioni distrutte e diversi feriti, fra i quali una donna.

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