24/10/2025, 12.44
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Mons. Linus Neli: 'In Manipur soluzione politica pacifica e duratura. È il grido del popolo'

di Daniele Frison

L'arcivescovo di Imphal ha parlato a Roma ad AsiaNews. Le violenze tra Meitei e Kuki-Zo sono diminuite, ma “la separazione mentale continua”. La visita di Modi a settembre è arrivata "troppo tardi". L'aiuto della Chiesa alle persone sfollate: "Prima la sopravvivenza, poi la ricerca della pace". Intanto in Manipur dopo decenni è potuto rientrare Thuingaleng Muivah, il leader politico dei Naga.

Roma (AsiaNews) - La visita dello scorso mese di Narendra Modi a Churachandpur, Manipur, è segnata da numerosi “troppo”. Arrivata “troppo tardi” - dopo due anni e mezzo di conflitto -, rappresenta “troppo poco” per la riconciliazione tra gruppi etnici-religiosi - Meitei, maggioranza prevalentemente indù, e Kuki-Zo, cristiani - ed è seguita da una risposta istituzionale “troppo lenta”. Mons. Linus Neli, arcivescovo di Imphal dal 2023 impegnato a favore della pace nelle regioni del nord-est dell’India, ha parlato ad AsiaNews all’Istituto Patristico Augustinianum di Roma, a margine della presentazione del Rapporto 2025 sulla libertà religiosa di ACS. “La cosa importante ora è una soluzione politica pacifica e duratura. Questo è il grido del popolo”, afferma con decisione.

“Non è chiaro se l’onorevole ministro Modi sia venuto per altri interessi politici o nazionali, o per il popolo e per gli sfollati”, aggiunge. Ma, dopo un lungo silenzio sulle violenze scoppiate a maggio 2023 - secondo stime ufficiali (ampiamente sottostimate), sono 260 i morti e circa 60mila le persone sfollate - nello Stato nord orientale, al confine col Myanmar, “almeno è venuto”, aggiunge. E tale evidenza, nonostante la “sofferenza” che comporta e le aspre critiche delle opposizioni che hanno definito il viaggio una “farsa”, è una cosa che “non va dimenticata”. “I sentimenti della popolazione non sono stati toccati così profondamente come avrebbe dovuto fare un leader nazionale come il primo ministro”, afferma mons. Neli. “Abbiamo bisogno di qualcosa di più tangibile, rapido e solido”. 

L’arcivescovo di Imphal racconta ad AsiaNews che in Manipur ora la violenza è diminuita, ma “la separazione mentale continua”. La scintilla - l’ultima, dopo decenni di frizioni - fu la richiesta della maggioranza Meitei dello status di “tribù registrata”, prevista dall’ordinamento indiano, che garantisce una serie di tutele civili già appannaggio dei gruppi Kuki-Zo, economicamente svantaggiati e stanziati sulle zone collinari. Alle iniziali proteste seguirono scontri armati e linciaggi. 369 chiese subirono devastazioni, così come numerosi templi indù. Simbolo del dolore e della distruzione è l’immagine di mons. Linus Neli genuflesso a pregare tra le rovine della chiesa di San Giuseppe a Sugnu, nel maggio 2024. Ne seguì il controllo amministrativo del Manipur da parte di Delhi, e il dispiegamento di 60mila soldati federali, che “sorvegliano le zone cuscinetto”, per separare tra loro i gruppi e quietare le violenze. “Queste due comunità trovano difficile, se non impossibile, andare dall’altra parte. Il governo sta cercando di permettere la libera circolazione nello Stato”, dice l’arcivescovo.

Intanto, la situazione delle migliaia di persone sfollate rimane tragica. “In termini di mezzi di sussistenza, per la situazione delle donne e dei bambini, per l’istruzione della popolazione, in particolare dei piccoli”, afferma mons. Linus Neli. Uno stallo umanitario accompagnato da una “lentezza” politica che ha condotto nella popolazione sfollata a un calo di “speranza” e “fiducia” verso il governo. La maggior parte di essa vive in campi d’emergenza, afflitta e disorientata. “Sappiamo molto bene che il Manipur si trova al confine con paesi internazionali. Ciò rende complesso per il governo indiano preoccuparsi della sicurezza nazionale qui, e degli interessi internazionali”, spiega Neli. Le tribù Kuki, a maggioranza cristiana, sono state accusate - con il pretesto della vicinanza a una frontiera “porosa” - di coinvolgimento nel traffico di droga e di dare rifugio alle persone migranti provenienti dal Myanmar.

L’arcivescovo di Imphal, accademico esperto di diritti umani e diritto canonico, ricorda che dentro tali divisioni resistono tuttavia iniziative avviate da “persone di buona volontà” che credono nella riconciliazione. Come l’Interfaith Forum Manipur (IFM), di cui è membro, che di recente ha annunciato la fondazione di un World Peace Centre. “Facciamo del nostro meglio per sensibilizzare le persone sul fatto che, in mezzo alla sofferenza, dobbiamo rispettare lo spirito umano, l’angoscia e il conflitto interiore a ogni persona”, afferma. Un’angoscia che scaturisce dalla “perdita di identità, dignità e desiderio” nella popolazione. Un’assenza che va  riscoperta e portata alla luce per “trasmettere la pace alle persone” e “invitare i leader politici e della società civile ad accelerare le soluzioni”. La convivenza interreligiosa del Manipur insegna che “non possiamo facilmente gridare con un unico slogan, perché non rappresenterebbe la voce di tutti gli interessi”, aggiunge Neli.

L’arcivescovo di Imphal ricorda ad AsiaNews che, nella società del Manipur caratterizzata da molte divisioni etniche e religiose, il cristianesimo stesso si presenta frastagliato. “Ci sono cattolici, protestanti, battisti, evangelici… Quando ti rivolgi alle persone, guardando i loro volti, puoi vedere che le divisioni permangono”, afferma. E sottolinea le difficoltà di chiese, piccole e domestiche, di tonare a pregare, dopo la feroce repressione della maggioranza Meitei. “Gli sfollati Kuki-Zo sono sulle colline. Cercano rifugio, alcuni si nascondono anche nella foresta. Stiamo cercando di dare loro speranza, costruendo case prefabbricate, o offrendo alloggi economici per re-insediarli il più rapidamente possibile”, continua Linus Neli. Soluzioni che non prevedono ancora completamente i bisogni di base, come sanità, elettricità e approvvigionamento idrico. “Prima di tutto, la sopravvivenza. Poi, la ricerca della pace”, afferma.

Negli ultimi giorni un evento politicamente simbolico sta occupando le cronache dal Manipur, anche se non si tratta di una vera svolta. Il ritorno dopo cinque decenni di Thuingaleng Muivah, 93 anni, leader politico e militare del movimento nazionalista Naga, segretario del National Socialist Council of Nagalim (Isak-Muivah). È una figura che simboleggia l’eredità politica e storica dello Stato, e richiama anche una coesione sociale radicata nel passato. I Naga, nel conflitto tra Meitei e Kuki-Zo, si sono mantenuti neutrali, significando per entrambi un partner strategico. La partecipata e pacifica accoglienza di Muivah al suo villaggio natale Somdal rappresenta una rara opportunità di riconciliazione. Al leader venne vietato l’ingresso in Manipur per lungo tempo, con l’ultimo tentativo bloccato dal governo nel 2010. Il nuovo permesso, secondo la direzione del Bharatiya Janata Party (BJP), rifletterebbe uno spostamento di Dheli verso il dialogo e il confronto. Ma forse significa vederci “troppo”.

 

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