05/06/2007, 00.00
BANGLADESH
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Poveri e cristiani, vittime della campagna anti-corruzione del governo provvisorio

di Nozrul Islam
Per colpire mafiosi e affaristi le autorità del Bangladesh, appoggiate dall’esercito, demoliscono case, negozi e persino ospedali costruiti in modo abusivo. Ma a farne le spese sono i più poveri e la Chiesa, che nel suo tentativo di aiutare i senza tetto viene accusata di proselitismo. La storia della diocesi di Khulna, dove senza preavviso le ruspe hanno raso al suolo un piccolo villaggio di 40 case.

Khulna (AsiaNews) – La capillare e severa campagna anti-corruzione condotta dal governo provvisorio del Bangladesh - con l’appoggio dell’esercito - sta facendo piazza pulita di numerosi politici e affaristi, impossessatisi di terreni in modo illegale per poi affittarli abusivamente a commercianti e senza tetto. Le autorità hanno dato il via alla demolizione delle costruzioni edificate su queste terre: case, negozi e persino ospedali. E ora a farne le spese più di tutti sono i poveri e la Chiesa, che cerca invano di aiutarli. L’ultimo episodio del genere è avvenuto nella diocesi di Khulna, più precisamente nella parrocchia di Muzgunni a fine maggio, quando ruspe sono venute a radere al suolo un piccolo villaggio misto costruito con l’aiuto della comunità locale. Interessante è ripercorre la storia

 La storia

Due anni fa, la parrocchia di Muzgunni decide di avviare un progetto per dare un’abitazione decente a qualche famiglia cristiana dello slum che si estende vicino alla chiesa. Con il sostegno del vescovo e l’aiuto del gruppo “Africa 3000”, di Bergamo, e di altri benefattori, acquista 1,51 acri di terra in località Fulbari Gate, non lontano dalla grande strada Khulna-Jessore recentemente costruita come circonvallazione. Divide il terreno in 45 piccole aree, su 40 delle quali intende costruire una casa monofamiliare con tetto in lamiera. Tutti ritengono che, trovandosi a oltre 10 km dal centro della città, e trattandosi di costruzioni solo parzialmente in muratura, non siano necessari permessi da parte della Khulna Development Corporation (KDA), l’autorità municipale preposta all’edilizia. Si inizia costruendo 6 casette, poi dall’Italia si conferma l’impegno a continuare l’opera.  L’area viene chiamata “Asar Para” (trad. Quartiere della speranza).  

Solo a lavori già avviata, si fanno presenti le autorità della KDA dichiarando le costruzioni abusive. L’ingegnere della KDA, al quale ci si rivolge per chiarimenti, informa che si deve pagare una multa di 150mila taka (circa 1.800 euro), dopo di che i lavori potranno procedere. Così viene fatto, ma nel frattempo, lo scorso 11 gennaio, il presidente della Repubblica dichiara lo stato di emergenza ed entra in carica il “governo provvisorio”; questo, sostenuto dai militari, inizia immediatamente una vastissima campagna per demolire costruzioni abusive di ogni genere. Distrugge mercati, negozi, piani di condomini e persino ospedali costruiti senza permesso, e numerose baraccopoli installatesi su terreni demaniali a Dhaka e in tutto il Paese. L’obiettivo dichiarato sono i politici, mafiosi e affaristi che si sono appropriati di terreni, affittandoli abusivamente a piccoli commercianti e a senza tetto. Con loro, però, ne fanno le spese centinaia di migliaia di poveri costretti ad andarsene dalle loro baracche, finora pagate agli sfruttatori, e vivere all’aria aperta, o a rinunciare al piccolo commercio con cui si mantenevano.

Le false accuse di proselitismo

La campagna colpisce anche “Asar Para”. Quando sono già completate 26 casette con servizi igienici, e altre 14 sono a buon punto, arriva l’ordine di sospendere i lavori e demolire tutto a proprie spese. Il precedente accordo viene ignorato o negato dal nuovo regime. Probabilmente l’ingegnere in questione aveva intascato i soldi promettendo un permesso mai concesso in realtà.

La parrocchia, facendo riferimento ad una “legge provvisoria” che lo consente, chiede di pagare una multa e sanare la situazione. Richiesta non accolta. Si viene intanto a sapere che i Servizi di sicurezza stanno indagando a seguito di voci che l’iniziativa è mirata a concedere le casette a indù e musulmani che diventano cristiani. Ci si rivolge al nunzio, che scrive al Ministero degli Esteri, e a varie autorità di governo. Si presenta un ricorso. Nell’udienza relativa, presso il Consiglio del KDC, l’indagine si allarga: da dove arrivano i soldi, perché è stata comprata altra terra, quali sono le reali intenzioni della Chiesa. Durante una visita sul posto, il segretario commenta che case così belle per i poveri sono inopportune, e che comunque sarebbe meglio impiegare i soldi per costruire una scuola superiore.

Alla fine, l’ordine di demolizione viene confermato, e fissata la data del 15 aprile per l’esecuzione.

Nuovo ricorso, nuove obiezioni. Questa volta si dice che la KDA ha intenzione di creare un quartiere per benestanti proprio al confine di “Asar Para”, e a fianco del quartiere ricco non è opportuno avere una quarantina di casette povere, dove si formerà inevitabilmente una baraccopoli.

Altra inchiesta, questa volta del Ministero della religione, a seguito dell’accusa che si volevano costruire 250 case, un ospedale, un orfanotrofio, un cimitero e altro, portandovi famiglie di recente conversione per attirare famiglie musulmane e indù. L’unica cosa vera è il bisogno di un cimitero per la comunità cattolica, che non ha più spazi per seppellire i propri morti.

La demolizione

Verso fine maggio una lettera conferma l’ordine di demolire tutto, senza menzionare una data. Il 28 maggio i bulldozer della KDA spazzano via tutto in poco tempo; ai responsabili di “Asar Para” si dà ordine di pagare le spese e di far ripulire il terreno dalle macerie entro 24 ore. I lavori iniziano subito, ma richiedono tempo. Dopo qualche giorno funzionari della KDA denunciano la lentezza nei lavori come segno che la Chiesa è ostile al governo, vuole mantenere le tracce della demolizione per coinvolgere organizzazioni umanitarie e diffamare il Bangladesh all’estero. Si fa anche capire che se tutto avverrà senza intoppi né proteste, in futuro sarà facile avere permessi edilizi su quel terreno, non per case a favore dei poveri, ma per abitazioni più ricche e destinate ad altri usi.

 

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