Scioperano per lo stipendio, arrestati lavoratori migranti dei cantieri alla Mecca
Secondo un rapporto di Human Rights Watch almeno 600 operai sono da mesi senza salario. Quanti hanno protestato sono stati fermati e trattenuti, poi rilasciati. Per gli esperti il “numero effettivo” di quanti non vengono pagati “potrebbe essere significativamente più alto”. La testimonianza: “Non sapevamo che indire uno sciopero fosse un reato. Ci hanno accusato di aver tentato di rovesciare lo Stato”.
Riyadh (AsiaNews) - Circa 600 lavoratori migranti impiegati dalla Saudi Arabian Baytur Construction Company non ricevono lo stipendio da almeno otto mesi, anche se “il numero effettivo” dei non retribuiti “potrebbe essere significativamente più alto”. È quanto emerge da un rapporto pubblicato in questi giorni da Human Rights Watch (Hrw), secondo cui almeno 11 arrestati e trattenuti per qualche tempo, per poi essere successivamente rilasciati. La vicenda riguarda gli operatori impegnati nel progetto di riqualificazione Masar, del valore di 26 miliardi di dollari, con sede alla Mecca e finanziato dal Fondo di investimento pubblico saudita (Pif) da quasi un trilione di dollari. Da interviste e filmati diffusi in rete, gli operai (nella foto) hanno fatto ricorso dopo qualche tempo a interruzioni del lavoro e scioperi come ultima risorsa.
“Il palese furto di salario ai danni dei lavoratori migranti a basso reddito da parte di un’azienda coinvolta in un progetto multimiliardario alla Mecca la dice lunga sul fallimentare sistema di tutela salariale delle autorità saudite” accusa Michael Page, vicedirettore Medio oriente di Hrw. “Questi lavoratori non retribuiti - prosegue l’esperto - continuano a subire ritorsioni, tra cui intimidazioni e detenzioni, per aver chiesto i salari dovuti in base al contratto”.
Nell’ottobre 2025 l’ong internazionale ha condotto quattro interviste, incontrando anche due ex lavoratori migranti della Baytur, uno dei quali è ora tornato nel suo Paese d’origine pur dovendo ancora ricevere oltre 150mila riyal sauditi (circa 39.997 dollari) in salari e benefici non pagati. Nel rapporto sono anche riportati articoli di giornali, post sui social media e filmati diffusi in rete riguardanti gli scioperi nei cantieri sauditi. Peraltro va sottolineato come diversi operai abbiano rifiutato di farsi intervistare, nel timore di ritorsioni da parte delle autorità saudite.
“Gli ultimi due anni [di retribuzioni irregolari] mi hanno prosciugato” ha spiegato un lavoratore a Hrw. “Durante tutto questo periodo, ci hanno fatto aspettare con scuse del tipo ‘i soldi stanno arrivando’, ‘sono bloccati in banca’ o ‘manca una firma sul conto’”. Un altro lavoratore arrestato, poi rilasciato, ha aggiunto: “Non sapevamo che indire uno sciopero fosse un reato. Ci hanno accusato di aver tentato di rovesciare lo Stato... Le manette ci hanno segnato le ossa”. I due lavoratori hanno affermato che la polizia ha ritardato il loro rilascio di due giorni nonostante l’ordine di scarcerazione emesso da un pubblico ministero che, dopo aver esaminato le riprese video, aveva concluso che i lavoratori non avessero commesso alcun reato.
Human Rights Watch ha provato ad interpellare il ministero saudita delle Risorse umane e dello Sviluppo sociale, la Saudi Arabian Baytur, la Umm Al Qura Development&Construction e i responsabili del Pif chiedendo loro maggiori dettagli e chiarimenti sul caso. Solo i funzionari del ministero hanno risposto, affermando che il caso era stato individuato dai meccanismi di ispezione e monitoraggio salariale e che “erano state intraprese azioni correttive in coordinamento con l’azienda, i lavoratori interessati e le loro ambasciate”.
Secondo quanto riportato dai media e nelle interviste, la società saudita Baytur avrebbe smesso di pagare almeno 600 operai edili provenienti da Turchia, India, Bangladesh, Egitto e Pakistan, per almeno otto mesi. I lavoratori hanno dichiarato di aver ricevuto pagamenti irregolari negli ultimi due anni e di non aver ricevuto alcun compenso negli ultimi mesi.
Il progetto Masar fa parte del quadro strategico Vision 2030 dell’Arabia Saudita e la stessa Saudi Arabian Baytur è stata incaricata dalla Umm Al Qura Development&Construction, che è in parte di proprietà del Fondo di investimento pubblico saudita (Pif). Secondo le previsioni sarà lungo 3,65 km e largo 300 m, in direzione della Grande Moschea della Mecca (Masjid al-Haram). Masar contribuirà all’obiettivo della Vision 2030 saudita voluta con forza da Mohammad bin Salman (Mbs) per aumentare la capacità di ospitare fino a 30 milioni di pellegrini entro il 2030. Inoltre, ha lo scopo di diversificare l’economia affrancandola dalla dipendenza dal petrolio, creando al contempo almeno 16mila nuovi posti di lavoro.
Nella sua risposta il dicastero delle Risorse umane ha confermato la non conformità della Saudi Arabian Baytur a causa di “difficoltà finanziarie legate alle sue operazioni”, come rilevato dai “meccanismi di ispezione e monitoraggio salariale del Ministero”. Il ministero ha inoltre precisato che il suo sistema di protezione salariale (Wps) “consente di identificare tempestivamente potenziali casi di non conformità, dando luogo a visite ispettive, all’imposizione di sanzioni e ad altre misure correttive in linea con la legge saudita sul lavoro”.
L’Arabia Saudita sta vivendo un enorme boom edilizio, che comprende la costruzione di 11 stadi nuovi e ristrutturati in vista dei Mondiali di calcio del 2034. I casi di furto salariale in corso dovrebbero servire da monito alla Fifa (l’ente mondiale del pallone) e alle altre aziende che stanno espandendo le loro attività in Arabia Saudita: senza una concreta riforma del lavoro, le loro operazioni saranno macchiate da gravi violazioni dei diritti umani. “Molti lavoratori migranti tollerano il caldo estremo e le dure condizioni di lavoro dell’Arabia Saudita per sostenere il benessere delle loro famiglie e le prospettive future dei loro figli” ha ricordato Michael Page. “Non ci sono scuse - conclude - per negare a questi lavoratori i salari che spettano loro di diritto”.
09/03/2023 13:30
08/05/2021 09:03





