Uno ‘tsunami’ di rifiuti elettronici made in Usa su Malaysia e Sud-est asiatico
La denuncia in un rapporto del Basel Action Network a pochi giorni dalla partecipazione del presidente Trump al vertice Asean. Per gli esperti Kuala Lumpur è la “nuova mecca” dove vengono riversate tonnellate di componenti. Un volume di affari da oltre un miliardo di dollari ma dalle conseguenze ambientali esplosive.
Kuala Lumpur (AsiaNews) - Milioni di tonnellate di apparecchi o componenti elettronici scartati negli Stati Uniti vengono inviati all’estero, in molti casi in nazioni in via di sviluppo (anche) nel Sud-est asiatico che risultano il più delle volte impreparate a gestire in sicurezza rifiuti pericolosi. È quanto emerge da un rapporto pubblicato ieri da Basel Action Network (Ban), con sede a Seattle, a conclusione di un’indagine durata oltre due anni, in cui è emerso che almeno 10 aziende Usa esportano in Asia e Medio oriente provocando uno “tsunami nascosto” di rifiuti elettronici.
Un tema di attualità che coinvolge direttamente gli americani, alla vigilia del vertice Asean (Associazione che riunisce 10 Paesi del Sud-est asiatico) in programma dal 26 al 28 ottobre a Kuala Lumpur, in Malaysia, cui parteciperà anche l’inquilino della Casa Bianca Donald Trump.
I rifiuti elettronici (o e-waste) comprendono dispositivi di scarto come telefoni cellulari, tablet e computer che contengono sia materiali preziosi che metalli tossici come piombo, cadmio e mercurio. Considerando che vengono sostituiti sempre più rapidamente, i rifiuti elettronici globali stanno crescendo cinque volte più velocemente di quanto vengano riciclati, almeno secondo i dati ufficiali. Nel 2022 il mondo ha prodotto un record di 62 milioni di tonnellate metriche; tuttavia, secondo l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni delle Nazioni Unite (Unitar) si prevede che tale cifra crescerà fino a toccare quota 82 milioni entro il 2030.
“Questo nuovo, quasi invisibile tsunami di rifiuti elettronici, sta avvenendo” in maniera sempre più rapida, afferma lo studio del watchdog ambientalista Ban, andando ad alimentare “i margini di profitto già redditizi del settore del riciclaggio dell’elettronica”. Il fenomeno consente inoltre “a gran parte delle apparecchiature di Information Technology pubbliche e aziendali americane di essere esportate surrettiziamente e lavorate in condizioni dannose nel Sud-est asiatico”.
Gli scarti dell’elettronica statunitensi si vanno poi ad aggiungere a quelli già in circolo nel continente asiatico che, da solo, già produce quasi la metà del totale mondiale. Gran parte di essi viene gettata nelle discariche senza particolari cautele, rilasciando sostanze chimiche tossiche nell’ambiente. Alcuni finiscono in centri informali, dove i lavoratori bruciano o smantellano i dispositivi a mano, spesso senza protezioni, rilasciando fumi tossici e scarti.
Secondo il rapporto, ogni mese circa 2mila container - circa 33mila tonnellate metriche - di apparecchiature elettroniche usate lasciano i porti statunitensi. E le aziende dietro le spedizioni, descritte come “broker di rifiuti elettronici”, in genere non riciclano i rifiuti da sole, ma li inviano ad aziende nei Paesi in via di sviluppo senza particolari riguardi nelle procedure utilizzate. Le entità identificate nel rapporto includono Attan Recycling, Corporate eWaste Solutions o CEWS, Creative Metals Group, EDM, First America Metal Corp., GEM Iron and Metal Inc., Greenland Resource, IQA Metals, PPM Recycling e Semsotai.
Il rapporto stima che tra gennaio 2023 e febbraio 2025 le 10 aziende abbiano esportato oltre 10mila container di potenziali rifiuti elettronici per un valore superiore a un miliardo di dollari. A livello settoriale, tale commercio potrebbe superare i 200 milioni di dollari al mese. Otto delle dieci aziende identificate possiedono la certificazione R2V3, uno standard industriale volto a garantire che i prodotti elettronici siano riciclati in modo sicuro e responsabile, sollevando numerosi interrogativi sul valore di tale certificazione. Molti container vengono inviati in nazioni che hanno vietato le importazioni ai sensi della Convenzione di Basilea, trattato internazionale che vieta il commercio di rifiuti pericolosi da parte di Paesi non firmatari come gli Stati Uniti, l’unica industrializzata a non averlo ancora ratificato.
Tony R. Walker, esperto di commercio globale dei rifiuti presso la Scuola di Studi sulle Risorse e l’Ambiente dell’università Dalhousie di Halifax, in Canada, ha detto di non essere sorpreso dal fatto che i rifiuti elettronici “continuino a sfuggire alla regolamentazione”. Sebbene alcuni dispositivi possano essere commercializzati legalmente se funzionanti, la maggior parte delle esportazioni verso Paesi in via di sviluppo “sono rotti o obsoleti ed etichettati in modo errato, destinati a discariche che inquinano l’ambiente e hanno scarso valore di mercato”. Lo studioso cita il caso della Malaysia, presidente di turno Asean 2025 e firmataria della Convenzione di Basilea, identificata come “principale destinazione” dei rifiuti elettronici Usa e “sopraffatta” da “tale volume” che si somma “ai rifiuti provenienti da altre nazioni ricche”. “La Malaysia è diventata improvvisamente la mecca dei rifiuti” afferma Jim Puckett del Basel Action Network. I container sono stati inviati anche in Indonesia, Thailandia, Filippine ed Emirati Arabi Uniti (Eau), nonostante i divieti previsti dalla Convenzione di Basilea e dalle leggi nazionali.
08/11/2024 10:13