Bangkok: il governo del conservatore Anutin e dei giovani riformisti
Il via libera del parlamento thailandese al nuovo premier dopo l'intervento giudiziario su Paetongtarn Shinawatra ha replicato uno schema visto più volte a Bangkok: l’alleanza fra parti apparentemente inconciliabili nei programmi e nei leader per esautorare l’avversario. Ma il People's Party vuole nuove elezioni entro quattro mesi e la modifica della Costituzione utilizzata per svuotarne il successo elettorale del 2023.
Bangkok (AsiaNews) - Il voto della Camera dei Rappresentanti che il 5 settembre con 247 voti a favore su 492 complessivi ha dato a Anutin Charnvirakul - politico di lungo corso, imprenditore nell’edilizia e leader del partito Bhumjaithai - l’incarico di guidare il nuovo governo della Thailandia, ha il segno dell’originalità ma solleva anche diversi dubbi. A partire dalla “tenuta” dell’inedita alleanza di un partito conservatore e populista con l’ultima espressione politica, il People’s Party, di un movimento nato nelle università e nelle aree urbane, impegnato per anagrafe e contenuti di proposta a fare cadere i ceppi culturali, sociali e istituzionali che nella storia recente lo hanno fortemente condizionato il Paese.
La stabilità è la motivazione principale addotta per arrivare a questa situazione. Ma molto di più si deve alla comprensibile volontà di governare del People’s Party per l’ampio mandato popolare e alla rivalsa di Anutin sugli ex alleati del Pheu Thai. Quest’alleanza fino a ieri impensabile giunge in una fase in cui l’economia thailandese richiede interventi urgenti, concreti e corretti. In una fase di stagnazione su cui pesano ora anche i dazi di Trump, occorre rilanciare la capacità di spesa delle famiglie, ridurne l’indebitamento, sostenere occupazione e salari e sul piano esterno rivalutare l’immagine del Paese, un tempo mediatore accreditato e oggi incapace di risolvere le dispute confinarie con la Cambogia.
Sicuramente l’inedita alleanza di governo e le difficoltà evidenti del Pheu Thai (con in più il rischio di uno scioglimento d’imperio decretato dalla Corte costituzionale in base alle “colpe” della precedente premier Paetongtarn Shinawatra destituita dalla Corte costituzionale) ha creato una situazione nuova con una modalità rodata in Thailandia: l’alleanza fra parti inconciliabili nei programmi e nei leader, utile a esautorare l’avversario. Le tensioni potrebbe presto ripresentarsi e trasferirsi nuovamente nelle piazze, questa volta non indirizzate dagli attuali sostenitori del People’s Party com’è stato nell’ultimo lustro almeno, ma dai sostenitori del Pheu Thai, in maggioranza tra i gruppi meno economicamente favoriti della popolazione.
L’impegno della coalizione di governo di annunciare nuove elezioni entro quattro mesi è l’orizzonte che al momento il Paese ha di fronte come unica certezza. Vincitore delle elezioni del maggio 2023, vittoria poi negata dall’aggregazione degli arcirivali Pheu Thai e Bhumjaithai che l’hanno relegato all’opposizione, allo stato attuale il People’s Party risulterebbe vincitore, con un probabile travaso di voti anche da elettori del Pheu Thai. Non a caso il suo leader, Natthaphong Ruengpanyawut viene indicato nei sondaggi d’opinione come il più accreditato a guidare un prossimo esecutivo e per questo Anutin è alla ricerca di altri alleati da associare già ora al governo.
Particolarmente controversa nel programma di coalizione la volontà di arrivare a una modifica della Costituzione per renderla più adeguata alla realtà del Paese e alle sue prospettive. Che questo possa includere la contestata verifica del ruolo della monarchia, chiesta da tempo dal People’s Party e fattore primo per la fine per mano giudiziaria delle loro precedenti espressioni politiche, è al momento incerto ma potrebbe rappresentare un nuovo punto di rottura interna e esterna al Parlamento.