04/09/2025, 12.25
THAILANDIA
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Bangkok: il re non scioglie il parlamento, Pheu Thai messo all'angolo

di Steve Suwannarat

I conservatori del Bhumjaithai cercheranno domani di far eleggere un governo di minoranza con il sostegno (condizionato e a termine) dei riformisti, vincitori delle elezioni del 2023 ma esclusi dall'alleanza inedita tra populisti e filo-militari, spazzata poi via dal conflitto con la Cambogia. Anche la famiglia Shinawatra, dopo l'ennesima estromissione per via giudiziaria, ora corteggia gli eredi di Move Forward. L'esercito: "Appoggeremo qualsiasi governo, ma garantendo la stabilità".

Bangkok (AsiaNews) - La Thailandia guarda alle prossime ore per avere qualche certezza dal suo Parlamento e, forse, una maggiore stabilità politica e di governo dopo due anni perduti nelle faide personali e nei maneggi politici che sono riusciti a emarginare le forze progressiste e riformatrici vincitrici delle elezioni del maggio 2023, mentre il Paese affronta una pesante crisi economica e di credibilità.

Si è dimostrata una mossa disperata quella del premier provvisorio Phumtham Wechayachai - espressione del Pheu Thai il partito populista legato alla famiglia Shinawatra - che ieri aveva chiesto al sovrano Rama X lo scioglimento del Parlamento. La richiesta è stata respinta dal Consiglio privato della Corona e rischia di costare anche a lui l'incriminazione per lesa maestà, per avere tentato di coinvolgere il re in questioni politiche. 

Si va quindi al voto parlamentare previsto domani per l’elezione del nuovo premier, dopo la sentenza della Corte costituzionale che il 29 agosto ha deposto Paetongtarn Shinawatra. Gli ex rivali del People’s Party (il nuovo nome dei riformisti di Move Forward, anch’esso messo fuorilegge dai giudici dopo il successo nelle elezioni del 2023) e del partito conservatore Bhumjaitai (già alleato del Pheu Thai, nella precedente maggioranza) si sono accordati su un candidato comune, il leader del Bhumjaithai, Anutin Charnvirakul, per guidare un governo di minoranza. Sono però ancora in via di definizione alcuni punti del programma, tra cui l'impegno a tenere comunque elezioni entro pochi mesi.

Intanto il Pheu Thai - principale partito dell’ex maggioranza e la cui esponente Paetongtarn Shinawatra è stata costretta dai giudici a lasciare la guida dell’esecutivo per non avere difeso gli interessi nazionali in un colloquio a giugno con l’”uomo forte della Cambogia, Hun Sen al culmine delle tensioni fra i due Paesi - è impegnato in una corsa affannosa per completare nelle prossime ore importanti provvedimenti di carattere economico, tra cui la riforma del finanziamento delle pensioni.

Alla ricerca di difficili convergenze programmatiche per il prossimo futuro - e a sua volta alla ricerca di un’alleanza dell’ultim’ora con il People’s Party, puntando su rapido ritorno alle urne e una revisione della Costituzione che li vedrebbe d’accordo – anche il Pheu Thai ha già scelto il proprio candidato alla guida del nuovo governo, Chaikasem Nitisiri. Un obiettivo non facile, quello del Pheu Thai, che nell’ultimo ventennio (anche con denominazioni diverse) ha dominato pressoché tute le elezioni nonostante il suo fondatore, l’imprenditore e lui stesso ex premier Thaksin Shinawatra, lo abbia guidato dall’esilio all’estero prima di rientrare in patria due anni fa. Anche se raggiunto, però, questo traguardo potrebbe essere vanificato da una richiesta di scioglimento del partito per via giudiziaria come “coda” della vicenda toccata a Paetongtarn, di cui il partito sarebbe ritenuto corresponsabile. Ed è una carta che i rivali filomonarchici e militari potrebbero giocare se non lo vedessero battuto domani in Parlamento.

Non a caso, a segnalare l’attenzione dei vertici dell’esercito - non nuovi in Thailandia a “interventi risolutori” in questo tipo di situazioni – ha parlato il generale Boonsin Padklang, comandante del Primo corpo d’armata che ha giurisdizione sulla regione della capitale. Questi, pur escludendo ogni velleità golpista garantendo l’appoggio a un futuro governo di qualsiasi parte politica, ha confermato però l’impegno delle forze armate “a garanzia della stabilità”.

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