30/06/2016, 15.19
SRI LANKA
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Sri Lanka: a due anni dalle violenze buddiste i musulmani soffrono, ma perdonano

di Melani Manel Perera

Radicali buddisti hanno saccheggiato e raso al suolo tre città del sud-ovest. I sopravvissuti vivono nella paura, e nel ricordo terribile delle violenze. Le testimonianze di un commerciante di automobili, che ha perso tutto; un droghiere; un ragazzo a cui è stata amputata la gamba.

Dharga Town (AsiaNews) – A due anni di distanza dalla brutale aggressione dei radicali buddisti contro la minoranza musulmana nel sud-ovest dello Sri Lanka, i sopravvissuti di quelle violenze ancora vivono nel dolore del ricordo di quanto avvenuto. Alcuni di loro dicono ad AsiaNews: “Non avevamo mai assistito a tanta violenza. Non solo ci hanno attaccati alla luce del giorno, ma lo hanno fatto di fronte alla polizia, che ha visto perpetrare minacce, ferimenti, uccisioni senza motivo. Il dolore non può essere cancellato e la frattura mai ricomposta”.

Due anni fa i buddisti hanno aggredito, saccheggiato e raso al suolo Dharga Nagar, Beruwela e Aluthgama, tre città a maggioranza islamica. Le violenze sono iniziate il 15 giugno e continuate per due giorni senza sosta. Circa 10mila persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case, 8mila musulmani e 2mila singalesi. Sono stati i musulmani a pagare il prezzo più alto: il bilancio finale è stato di 4 morti, 80 feriti, 90 case distrutte, negozi, proprietà e moschee danneggiate per milioni di rupie srilankesi.

Le aggressioni sono state capeggiate dal gruppo radicale buddista Bodu Bala Sena (Bbs), che avrebbe agito per ritorsione contro il presunto attacco ai danni del ven. Ayagama Samitha Thero. Appreso dell’incidente, Galagoda Aththe Gnanasara Thero, monaco buddista leader del Bbs, ha radunato i seguaci e incitato alla violenza radicale tra singalesi buddisti e musulmani. Al termine del raduno, i militanti del Bbs hanno marciato nelle zone a maggioranza islamica delle città.

Ogni proprietà dei musulmani è stata presa di mira, mentre venivano risparmiati i negozi singalesi. M. Fazaal e Imran Mohomad, due musulmani testimoni delle violenze, dicono ad AsiaNews: “I buddisti cantavano slogan anti-islamici. Poi si sono avvicinati alla moschea dove stavamo pregando, ci hanno rivolto parole oscene e fatto il gesto della pistola contro uno di noi”.

M. Hanifa Mohomad Zarook Hajiyar, un ricco commerciante musulmano di 70 anni, ha assistito al saccheggio e al rogo della sua casa, il tutto di fronte al personale della Special Task Force dislocata dal governo per sedare le violenze. L’uomo racconta: “La polizia era lì, ma non è intervenuta per impedire quello che stava accadendo. Quando ho implorato ‘Fratello, non permettere tutto questo’, essi hanno rivolto le armi verso di me e mi hanno intimato di non avvicinarmi, altrimenti mi avrebbero ucciso”. Il commerciante alla fine è scappato e ha messo in salvo la moglie, un figlio e la figlia con il proprio bambino, che i musulmani avevano tentato di prendere con la forza.

Le perdite dell’uomo sono state ingenti, perché la folla ha incendiato anche il suo autosalone. Nonostante tutto, Zarook Hajiyar dice: “Dio mi ha dato tutto. Mi ha dato il coraggio di affrontare tutto questo. Io confido in lui. Non ho risentimento contro nessun buddista o la folla di radicali Bbs. Viviamo in pace con i buddisti nel nostro villaggio, anche in mezzo a tale disastro”.

M. N. Imbran, un uomo di 33 anni, ha perso il suo piccolo negozio di alimentari. Oggi però è “sereno e soddisfatto perché l’esercito ha ricostruito la mia casa”.

Mohomad Asjath, un ragazzo di 20 anni, vive invece nella disperazione. Quei giorni hanno cambiato per sempre la sua vita: uscito di notte per controllare la situazione, un ufficiale della Task Force gli ha sparato ad una gamba. Dopo diverse ore è stato trasportato all’ospedale di Dharga Town, ma i medici si sono rifiutati di curarlo. In seguito si è recato all’ospedale di Nagoda, ma il personale sanitario lo ha sbeffeggiato e ritardato i soccorsi. Alla fine la famiglia ha noleggiato un’ambulanza privata che lo ha trasportato al National Hospital di Colombo. “Qui i dottori – racconta – hanno provato a salvare la mia gamba. Dopo cinque giorni, un medico si è avvicinato e mi ha detto: ‘Mi dispiace, dobbiamo amputare la gamba’. Ricordo ancora la sua voce tremante che mi diceva che se il proiettile fosse stato rimosso a Nagoda, avrei salvato la gamba”. Il ragazzo lavorava come aiuto meccanico in tre officine e guadagnava 25mila rupie al mese (215 euro). Dopo l’incidente ha perso il lavoro e con esso un’importante fonte di reddito per tutta la famiglia.

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